“Ci piacerebbe che Mylo Xyloto diventasse una nuova parola. Come Coca-Cola, o Google”. Così Chris Martin, leader dei Coldplay, sul nuovo album in uscita il 24 ottobre. Non prima però di aver gettato nello sconforto i fan di tutto il mondo: “Mi sono sempre sentito soddisfatto dopo la produzione di un album, ma credo che in questo abbiamo messo tutto quello che potevamo mettere. Dico sul serio, non riesco proprio a immaginare come potremmo farne un altro. Questo potrebbe essere l’ultimo”.
Cosa bolle in pentola? È la domanda che circola tra i forum specializzati, e tra il pubblico dei concerti, per capire fino a dove vogliono spingersi i talenti di Londra. Dal 1997 ad oggi, in un apoteosi di successi internazionali, oltre che di fortunate commistioni stilistiche, i quattro alfieri del pop britannico hanno superato i confini della propria epoca. Già perchè, tralasciando i gusti personali, almeno una delle loro canzoni è stata per ognuno un tormentone (più o meno etero-forzato) da giramento di testa. E che dire del marketing, il motore aggiunto di una macchina musicale già di per sè avveniristica? La risposta alla prima domanda può celarsi sotto questa. I Coldplay, come tanti colleghi di successo, hanno (o devono avere) un copione: le litigate tra gli Oasis, i rumourssui Babyshambles e la “telenovela parentale” tra i White Stripes, per limitarci a pochi esempi, sono mezzi di attrazione dell’audience, prima di verità tutte da dimostrare. Ebbene, i Coldplay non si sottraggono a questa logica. La trama di “questo disco è il nostro migliore”, seguita dal “difficilmente riusciremo a ripeterci”, è tipica della personalità di Martin e colleghi. Anche se poi davvero siamo al capolinea di una storia milionaria, non si crea l’epica post-moderna di “Viva la Vida” senza stimolare la fantasia, anche tragica, delle folle.
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