Magazine Maternità
Sì, sono io. Sono quella con cui non lascereste vostro figlio/a da solo nemmeno per 5 minuti.
Eppure posso vantare una discreta carriera come baby sitter, che, in considerazione della penuria di argomenti, non manco di segnalare nei miei curricula lavorativi.
Che tristezza, Suster, e poi ti lamenti che non trovi lavoro! Già.
Dunque uno dei primi lavori che ho svolta quando sono arrivata a Pisa è stato quello: la baby sitter. All'epoca avevo 20 anni e assai poca esperienza in fatto di pannolini e affini.
Il mio bambino, quando ho cominciato a lavorare con lui, aveva 2 anni appena compiuti e rispondeva al nome di Gigio. Sì, proprio come il famoso topo che ha animato la nostra infanzia televisiva, e prima della nostra, quella dei nostri genitori, e probabilmente dei nostri avi. Quel sorcio immortale.
Del resto io ho sempre avuto a che fare con nomi importanti: i primi bambini con cui ho prestato servizio quale Mary Poppins dei giorni nostri alla tenera età di 17 anni, figli di amici di famiglia, si chiamavano infatti Giovanni e Giacomo. Suppongo che se invece di due gemelli ne fossero nati tre, il terzo sarebbe stato pelato e si sarebbe chiamato Aldo.
Ma torniamo al nostro Gigio. Con un nome così non poteva trattarsi certo di un bambino del tutto normale.
E infatti.
Possiamo dire che io l'abbia visto crescere, poiché sono rimasta con lui fino al suo 7° anno d'età compiuto, con le debite interruzioni del caso.
Gigio era molto simpatico e amoroso nei miei confronti, per carità, ma aveva il difetto di aver sviluppato una senilità precoce, causata secondo me da genitori fortemente inibitori, e la conseguenza di ciò era il fatto che il Gigio in questione finiva spesso per comportarsi in maniera assai più adulta della baby sitter stessa, di 18 anni più vecchia.
- Gigio, che bello! Hai un gioco nuovo! Che castello bellissimo! Dai, facciamo che io ero l'esercito dei cavalieri neri e tu i bianchi?
- No, che fai? Non si gioca così! Ferma! Stai mettendo tutto in disordine! Questo non va così! Quello non si mette lì. Ora basta: mettiamo il castello sul tavolo e giochiamo con un altra cosa.
Oppure:
- Facciamo la lotta con i mostri: io ero il drago fortissimo che sputa il fuoco e tu eri questo qui.
- Eh, ma non vale: perché io devo prendere questo pupazzo bruttissimo e tu prendi il drago gigante? Così è normale che vinci te. Allora io prendevo anche il dinosauro verde.
- NO! Il dinosauro verde sta nella squadra dei draghi!
- E va bene, allora io mi prendo questo topo con la faccia da scemo, ma faccio che lui aveva un potere speciale che diventava invisibile e entravo nel vostro nascondiglio di notte e vi rubavo il drago!
- Noooooooooo! Il topo non era invisibile!
- Certo che era invisibile! Il pupazzo è mio e decido io i poteri che ha. Ma scusa, devi vincere per forza tu? Allora io non ci gioco più con te. Se mi dai i pupazzi più brutti, e poi devo pure perdere, allora gioca da solo!
Credeteci: è successo davvero.
Credo che però lui con me si divertisse almeno un po', anzi: di più! Dopo tutto ero l'unica "bambina" che frequentava, prima che lo mandassero a scuola.
Con Gigio mi piaceva un sacco disegnare. Cioè: io disegnavo, e lui mi diceva fai questo fai quello, ora fai una casetta, ora fai un bambino ora fai una mamma. In assoluto, credo sia stato l'unico bambino che io abbia mai conosciuto che non ti strappasse il pennarello di mano ogni volta che ci si metteva a fare un disegno insieme. Io ci ho provato a far disegnare anche lui, ma credo che il giovane ragazzo non si sentisse particolarmente portato per l'espressione artistica, perché mi rispondeva sempre: "No, io non sono bravo come te. Disegna tu e io ti dico cosa fare". Aveva la stoffa del leader, lui.
Non disegnava, però a due anni riconosceva già Ciampi quando lo vedeva in televisione, e il Papa, la cui vista lo riempiva di entusiasmo (ma era ancora Woitila, sarebbe stato ben più preoccupante se si fosse entusiasmato del ghigno di Ratzinger!), e aveva un bellissimo mappamondo fisico-politico che si illuminava su cui sapeva individuare l'Italia. Ah! E guardava vagonate di documentari sin dalla più tenera età.
Gigio era un poco mammone, come tutti i bambini maschi suppongo, almeno in Italia, dove a sentire i nostri ministri pare che partoriamo e alleviamo eserciti di bamboccioni. Tutti i suoi giochi, le sue storie, i suoi disegni, le sue canzoni, in qualche modo finivano per vertere su un unico argomento: la mamma. Uno dei suoi giochi preferiti erano i "limali", ossia gli animali. Ne aveva tanti da riempire due o tre zoo, e ne sarebbe anche rimasto qualcuno fuori. Con questi limali lui amava fare delle "sceneggiate", ossia inventare storie in cui il copione era in linea di massima sempre lo stesso, e non si potevano fare varianti: questa è la mamma cavalla, questo è il puledrino. Un giorno il puledrino va nel bosco e si perde, chiama la mamma e piange. Qualcuno va a salvarlo e torna dalla mamma. Cambiando la specie di riferimento il risultato rimane uguale: mamma leone e leoncino, mamma orsa e orsetto, mamma tigre e tigrotto. A parte che la trama fa pena, ma perché mai ripetere questa sceneggiata all'infinito? Forse il povero Gigio tentava attraverso la messa in scena delle sue più radicate paure di abbandono materno, di praticare una sorta di esorcismo, un po' come facevano gli antichi Greci con la tragedia.
Inutile dire che a me il gioco della sceneggiata annoiava a morte e non perdevo occasione per improvvisare diversivi e colpi di scena.
- Facciamo che mamma elefante veniva catturata dal drago e l'elefantino doveva andarla a salvare.
- Facciamo che leoncino smarrito incontrava Pumbaa e Timon e andava a vivere con loro nell'oasi.
- Facciamo che orsetto saliva sul trenino e andava a trovare i suoi parenti al polo nord.
Niente. Nessuna variante poteva stuzzicare l'interesse di lui, tutto preso da quei reiterati salvataggi lacrimosi e melensi.
Quando era bel tempo, dovevo trascinare Gigio ai giardini, perché così voleva la mamma, che mi lasciava scritto poi a che ora tornare e quanti minuti di tv poteva guardare. Se fosse stato per lui, Gigio sarebbe rimasto tutto il giorno chiuso in casa a guardare i DVD del Re Leone 1 2 3, e l'idea di uscire non lo solleticava neanche lontanamente.
Diciamo che se avessi potuto esimermi da quelle penose gite ai giardini, lo avrei fatto più che volentieri. Avrei potuto dire, ad esempio: "Ascoltami bene, Gigio: tu non vuoi andare ai giardini ma rimanere qui a guardare Il Re Leone 3. Io non voglio andare ai giardini ma rimanere qui a mangiarmi i vostri Pan di Stelle e le vostre Gocciole (sempre che ce ne siano a sufficienaza nel pacco per poter poi occultare il misfatto). Facciamo che si sigla un accordo e non si dice niente a Papaldo (che sarebbe poi papà Aldo)?".
Ma per quanto irresponsabile e incosciente fossi all'epoca, sapevo bene quanto potevo fidarmi della parola di un bambino di 3, 4 o 5 anni. Renderlo mio complice in un complotto contro la mamma era troppo anche per me.
E così ogni giorno la sofferenza dei giardini era inflitta a entrambi.
Gigio non amava molto giocare con i suoi coetanei. Per convincerlo ad uscire ero costretta ogni volta a traslocare un certo numero di giocattoli da casa ai giardini e poi ritorno. Peccato che una volta lì, quando iniziavamo a tirare fuori i nostri 270 "limali" dalla mia capiente borsa, immancabilmente uno sciame di bimbi si radunava intorno a noi come vespe sulla marmellata, e allora sì che erano cavoli!
- No, fermo! Questo gioco è mio! Lascia il mio leone! Non potete giocare con i miei limali! NO! Si perdono! Papaaldo non vuole! Ridammi il mio cavallo! Quel bambino ha preso il mio lifante! Andiamo via non voglio più stare ai giardini!
Bimbi asociali di nuova generazione...
Una volta eravamo ai giardini in piena crisi di panico. La mamma quel giorno era uscita con noi e poi ci aveva mollato lì, e questo aveva scatenato infiniti pianti che io a mala pena ero riuscita a sedare sciorinando come al solito il mio sterminato repertorio di sigle tv dei cartoni animati della mia infanzia passata per un buon 50% davanti al piccolo schermo.
Lui ascoltava per quanto non potesse avere la benchè minima idea dell'erudito riferimento cui corrispondeva ogni nuova canzoncina.
- Un'altra!
E un'altra ne tiravo fuori dal cilindro della mia memoria canora.
-Aspetta aspetta, come faceva quella? Ah, sì.
E attaccavo a cantare Ciobin. Ciobin: non so se avete presente. Trattavasi di piccolo extraterrestre gommoso e fungiforme che era precipitato sulla terra non si sa bene come ed era da allora perennemente in cerca delle mamma.
Scelta infelice, perché dopo aver cantato con diligenza tutta la sigla con impeccabile fedeltà al testo originale, arrivo all'epilogo, che recita così: "Goccia di stella, la mamma mia dov'è?"
- Perchè non c'è la sua mamma? Dov'è la mia mamma? Buaaaaaaaaaaaaaaaaah! Voglio mammaaaaa!
E così finì l'idillio.
Suster con la psicologia infantile è un disastro.
Un'altra volta gli cantavo "Cuccuruccucù paloma", la canzone di Battiato, ignara che anche qui vi potessero essere elementi tali da provocare un trauma.
Insomma la canzone a un certo punto fa: "La barba col rasoio elettrico non la faccio piùùùùù!"
E lui mi fa:
- Perchè non la fa più la barba?
- Boh, Gigio, che ne so! Forse perché era triste.
- E perché era triste?
- Perchè la sua donna l'aveva lasciato.
Dico io, candidamente.
- E se n'era andata via?
- Sì, credo di sì...
- Anche mamma e papà si lasciano? Io non voglio che mamma va via! Buaaaaaaaa!
Porca miseria! Ma ero io a non capirci niente di bimbi o era lui ad avere qualche problema di insicurezza legato all'abbandono genitoriale?
Gigio... Bei tempi!
Ora è alto quasi due metri e quando lo incontro mi saluta come un adulto, mi chiede la bimba come sta, è molto educato. Pure troppo per la sua età.
Pare non aver riportato danni permanenti dal tempo trascorso in mia compagnia.
Ha anzi rimpianto a lungo le tigri che gli disegnavo poiché questa fu la prima cosa che mi disse quando tornai dal mio Erasmus a Madrid:
- Lo sai che ora ho tre baby sitter? Tu, Alessia e Sandra. Ma loro non le sanno fare le tigri. Le fanno bruttissime.
Peccato che io poi questa Alessia l'ho pure conosciuta per altre vie, e quando scoprimmo di avere Gigio in comune mi confessò di avermi odiato visceralmente perché lui non mancava di ricordarle ogni giorno che le tigri che gli disegnavo io erano molto più belle (ah ah!).
Sarà stato per le tigri che la mamma di Gigio mi riprese con sè congedando simpaticamente Alessia e Sandra, o perché sin da quando la lira aveva lasciato il posto al dannato sfigato euro le mie tariffe non avevano tenuto dietro all'inflazione, continuando io a venir pagata 5 euro l'ora per i secoli dei secoli e pure amen? Chissà, chissà.
Comunque eccomi qua. La miglior baby sitter sul mercato, ora, udite udite e inorridite, mamme: è diventata a sua volta mamma! Oh poveri noi! Oh povera creatura! Dove andremo a finire? Chiamate gli assistenti sociali! Chiamate tata Lucia!
Ma no! Su, che son cresciuta nel frattempo!
Solo una volta che ero un po' presa a scrivere cretinate qui sul blog la mia piccola è stata inghiottita dal suo enorme seggiolone privo di imbottitura, precipitando in terra sul sedere. Ma insomma, son cose che capitano!
Ah, e poi c'è stata quella volta che mi è volata giù dal tavolo di testa nel tentativo di inseguire la bottiglia di plastica accartocciata che le avevo dato per tenerla occupata, e io allora le sono andata dietro di gran tuffo nel tentativo di acchiapparla in caduta libera, se non che, ahimé, inciampai nelle ciabatte e anche il mio tuffo si è trasformato in caduta libera. L'ho acchiappata solo a livello pavimento, atterrando sulle ginocchia e procurandomi due grassi lividi, ma sono riuscita almeno a evitare che si fracassasse la testa sulle piastrelle della cucina...
Cose che capitano.
E poi c'è stata quella volta che lei era seduta a terra sul suo tappeto/trapunta rossa e io sono sbucata dal corridoio per farle cucù e lei si è spaventata, è sobbalzata all'indietro, ha perso l'equilibrio e si è cappottata sul pavimento, sbattendo la nuca con un seco "tonc".
Però, ragazzi, sono cose che capitano!
O come quell'altra volta che io ero tutta presa dal farle un servizio fotografico, e a verificare le impostazioni della reflex, tanto da non accorgermi che il mio soggetto intanto stava tentando il suicidio...
Cose che capitano... oppure no?
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