Marostica (VI), Panic Jazz Club.
Tardo pomeriggio di mercoledì 13 marzo scorso. Mi arriva un messaggio del buon Eugenio che mi propone una puntata in quel di Marostica (Vicenza), per assistere al primo concerto in solo in terra italiana del sassofonista Colin Stetson. Non proprio incoraggiato da una pioggia battente, accetto di buon grado l’invito e dopo un paio d’ore mi trovo in viaggio. Arriviamo giusto pochi minuti prima che l’americano inizi a buttare fiato dentro ai suoi ottoni. La location è la suggestiva piazza Castello, dove si trova la famosa scacchiera umana. Giusto pochi minuti per qualche veloce esercizio di stretching, e Stetson da inizio alle danze. Fin dalle prima note l’americano – di Ann Arbor (Michigan), ma attualmente di base fra Montreal e New York – mette in atto uno scontro frontale che consiste in un magnifico mix di perizia tecnica, presenza scenica e classe esecutiva. Se a questo aggiungete un livello di scrittura che si eleva non poco rispetto ad altre proposte simili, capirete come mai il pubblico presente sia ancora lì ad incremarsi le mani spellate dagli applausi. La musica di Stetson sembra nascere da connubio, tanto improbabile quanto riuscito, che si fa fatica a descrivere con precisione: pensate a un Albert Ayler bianco e stregato dal minimalismo altezza Reich/Riley e da certa elettronica del catalogo Warp. Da notare a tale proposito che Stetson nella dimensione live non utilizza pedali o altri processori esterni per filtrare o modificare i suoni: tutto quello che ascoltiamo è prodotto dal corpo dei suoi due sassofoni (alto e basso) – microfonati in modo da restituire ogni tipologia di suono da essi partorita – e dalla sua voce. La pratica della respirazione continua, o circolare, che l’americano dimostra di gestire al meglio, risulta fondamentale, quindi, per la creazione di quel tappeto sonoro costituito da arpeggi insistiti, note sforzate e suoni ritmici circostanziali che funge da base per la particolare tecnica di canto applicata da Stetson direttamente all’interno del suo sax, sfruttandone le risonanze interne e la particolare microfonazione di cui sopra. Pescando a piene mani dalla scaletta del suo ormai famigerato New History Warfare Vol. 2: Judges, uscito nel 2011 su Constellation Records, Stetson conduce il suo breve ma intenso set in maniera serrata, intervallandolo però con qualche frase “di cortesia”. Bis finale chiamato a gran voce, e dopo pochi minuti ci ritroviamo Stetson di nuovo in pedana per discutere amabilmente con i presenti e vendere i residui di merchandising frutto di un lungo e fortunato tour europeo. A noi non resta che tornare a casa (sotto la pioggia).
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