Scrive Richard Sennett che è deprimente quando, negli Stati Uniti, gli capita di ascoltare le radio di estrema destra in cui troppi discorsi sono pieni di “‘fanculo” nei confronti delle femministe, dei democratici progressisti, degli intellettuali laici, delle coppie di fatto, degli omosessuali, oltre che, naturalmente, dei socialisti.
Oggi, fa presente Sennett, gli Stati Uniti sono diventati una società sotto certi aspetti tribale in cui la gente non vuole vivere in comune con chi ha idee differenti. Qui in Europa, d’altro canto, non possiamo certo stare allegri al riguardo: il tribalismo, nella forma del nazionalismo, ci ha letteralmente portati alla rovina nella prima metà del Novecento…
Il tribalismo accosta la solidarietà per l’altro simile a me con l’aggressività contro il diverso da me. E’ un impulso naturale e quasi tutti gli animali sociali sono tribali. Nelle società umane, però, il tribalismo può risultare deleterio. Le società complesse come la nostra comprendono etnie, razze e religioni differenti e obbligare tutta questa complessità in un unico stampino culturale sarebbe oppressivo politicamente e contrario alla verità di ciò che siamo. L’identità di ciascuno è un mescolanza di sentimenti, affiliazioni e comportamenti che raramente si incastrano in modo perfetto e ogni appello all’unità tribale indebolirebbe questa grande complessità individuale.
Aristotele mise per primo in guardia contro l’aspetto opprimente dell’unità. La polis per lui veniva da un atto di sinecismo (da syn = “insieme” e oikos = “casa”), la riunione di clan familiari dispersi, ciascun “oikos” con tradizioni, affiliazioni, proprietà, divinità sue proprie. Ai fini del commercio e dell’aiuto reciproco in caso di guerra, la polis è composta di uomini differenti fra loro in quanto “popolazioni simili non possono dare luogo a una polis”.
La mentalità tribale ci fa invece sentire certi di sapere come sono fatti gli altri senza conoscerli di persona, ci fa credere a fantasie spesso dettate dalla stessa paura.
Collaborare è quindi difficile e c’è bisogno di un’abilità che è innata nell’uomo. Aristotele chiama questo tipo di abilità techne, che è la capacità tecnica di far essere una cosa, facendola bene. Per questo collaborare è un’arte, un’abilità sociale importante che va dal semplice dire grazie e arriva alle più complesse forme di diplomazia. E’ capacità di ascoltare, confrontarsi, dialogare per arrivare a conseguire opere e risultati che da soli sarebbe impossibile raggiungere.
Un libro proficuo e fecondo questo di Sennett. Da tenere sulla scrivania per riaprire e, perché no, rileggere.
Twitter:@marcoliber
Richard Sennett
Insieme
Rituali, piaceri, politiche della collaborazione
(traduzione di Adriana Bottini)
Collana Campi del sapere
Feltrinelli
2012