- Il 18 ottobre scorso sono iniziati a Hurdal, cento chilometri a nord di Oslo, i negoziati fra il governo colombiano e il movimento di ispirazione marxista-leninista delle FARC (Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia – Ejercito del Pueblo), per tentare di trovare una soluzione pacifica ad un conflitto che dal 1964 ha provocato più di 300 mila vittime. Le trattative iniziate giovedì pomeriggio fra la delegazione di Bogotá, capitanata dal presidente Juan Manuel Santos, e la rappresentanza dei guerriglieri si sposteranno poi a Cuba, dove dal 15 novembre prossimo avrà luogo la fase decisiva, con Cuba e Norvegia come paesi garanti, Venezuela e Cile come paesi accompagnanti.
All’apertura dei negoziati in Norvegia entrambe le parti hanno tenuto a precisare che per il momento non si discuterà né di una tregua da parte del governo colombiano né di sospensione delle operazioni militari da parte delle FARC. Quest’ultime premevano sul governo affinché concedesse una tregua nell’offensiva, come gesto di buona volontà per il processo di pace. Richiesta subito respinta in maniera categorica dalle parole del capo delegazione e vicepresidente colombiano Humberto de la Calle: “Non parleremo di un cessate il fuoco prima della conclusione del processo di pace. Non ci sarà quindi nessuna sospensione delle operazioni militari”. Le FARC, che negli ultimi dieci anni a causa delle azioni militari del governo hanno perso due terzi dei propri combattenti, sono ormai solo lo spettro dell’organizzazione che negli anni ’90 rivaleggiava con Bogotá per il controllo della Colombia. In questi negoziati il governo colombiano può, quindi, dettare le sue condizioni.
Questo tentativo di pace è il risultato di vari incontri e colloqui segreti tenutisi a Cuba fra febbraio e agosto di quest’anno, al termine dei quali è stato concordato fra le parti un accordo (Acuerdo General para la terminación del conflicto y la construcción de una paz estable y duradera), costituito da cinque punti fondamentali, fra cui l’attuazione di una riforma agraria per promuovere un equo sviluppo sociale ed economico del paese, meccanismi di partecipazione democratica, la fine del conflitto armato e la reintegrazione dei guerriglieri nella vita civile, l’abbandono del narcotraffico da parte delle FARC e indennizzi per le famiglie delle vittime. Un esito positivo delle trattative gioverebbe non solo alla Colombia, ma a tutto il Centro e Sud America, in particolare a Cuba e Venezuela. Quest’ultimi due paesi, coinvolti attivamente nel processo di pace, sono da tempo considerati una minaccia, in particolare dagli Stati Uniti, per i loro rapporti con l’ex Unione Sovietica e la Cina. Come afferma Niccolò Locatelli su Limes, in caso di una vittoria diplomatica il regime castrista e Hugo Chavez potrebbero aspirare alla riabilitazione, almeno parziale, della loro immagine all’estero. I benefici, però, non si limiterebbero solo alla propaganda favorevole. Il ritorno della pace in Colombia potrebbe fungere da apripista per la risoluzione di altri problemi che affliggono tutta l’area del Centro America, come il contrabbando, il narcotraffico e la criminalità organizzata.
I contatti con il Venezuela di Chavez, interrotti sotto presidenza di Alvaro Uribe dal 2002 al 2010, sono stati ripresi dal successore Juan Manuel Santos, che da quando è stato eletto due anni fa ha ricominciato a dialogare con Caracas. Da rifugio delle FARC, il Venezuela ha iniziato a collaborare con il governo di Bogotá per l’estradizione di guerriglieri e narcotrafficanti verso la Colombia.
Il ritorno alla cooperazione con il Venezuela non è l’unico merito di Santos. Prima come Ministro della Difesa dal 2006 al 2009 per il presidente Uribe e successivamente come presidente lui stesso, Santos ha inferto dei duri colpi al vertice delle FARC, approfittando della morte per infarto del leader storico Manuel Marulanda “Tirofijo” nel 2008. Dopo l’uccisione il primo marzo 2008 del portavoce Raul Reyes e quella nel settembre 2010 del capo militare Victor Rojas “Mono Rajoy”, il colpo mortale per le FARC è arrivato il 4 novembre 2011, quando è stato assassinato Guillermo León Sáenz Vargas “Alfonso Cano”, che era diventato il nuovo capo dopo la morte del fondatore Marulanda “Tirofijo”.
Il processo di pace annunciato in Norvegia è solo l’ultimo di vari tentativi di mettere la parola fine sul conflitto fra il governo colombiano e le FARC. L’ultima tregua in ordine di tempo è stata rotta nel 2002 sotto la presidenza di Andres Pastrana, a cui ha fatto seguito alcuni giorni dopo il sequestro di Ingrid Betancourt, rimasta ostaggio delle FARC per sei anni. L’esito delle trattative dipenderà dall’impegno di entrambe le parti, ma richiederà in ogni caso del tempo, come ha sottolineato il presidente Santos: “Non ci vorranno anni, ma comunque mesi. Dai primi incontri si capirà se la pace questa volta è una realtà oppure un bel sogno trasformato nel solito incubo”.
Laura Fontana