Siamo a Bogotà, Colombia, 1992. Il boss della droga Don Luis Sandoval regola una questione con Fabio (che vorrebbe congedarsi), uccidendo lui e la moglie. Sopravvive la loro piccola figlia, Cataleya (che prende il nome da un tipo di orchidea presente solo in Sudamerica). Crescerà cercando soltanto una cosa: la vendetta.
Come si intuisce, il motore che fa girare il film è vecchio quanto la comparsa del primo uomo sulla Terra: vendetta, tremenda vendetta. Ma confrontarsi con un tema del genere può essere anche una sfida, basti pensare a quelle ampiamente vinte da film come Lady Snowblood e dalla creatura a esso ispirato, Kill Bill. Insomma, la vendetta è un argomento che non si esaurisce mai e incrocia i generi: dal western al poliziesco, dal noir all’action movie, da storie di samurai a quelle di cavalieri medievali. Nel caso di Colombiana, film d’azione prodotto da Luc Besson (che ormai non ne azzecca più una da tempo inenarrabile, come regista, sceneggiatore, produttore), la sfida viene persa in partenza: bambina in età da scuole elementari che pianta il coltello nella mano di uno scagnozzo e scappa dalla finestra, penzolandosi dai parapetti. Da lì, succede anche di peggio: fughe impossibili, la bambina che ha già le idee chiare sul suo futuro (da grande vuole fare il killer), suo zio che spara in mezzo alla strada in pieno giorno per dimostrazione, più di 20 omicidi solo per arrivare a uccidere l’unico uomo che le interessi veramente. D’accordo il film di puro svago, e al diavolo la credibilità, ma qui certe svolte narrative risultato nient’altro che evidenti forzature (va bene anche che il tizio delle pulizie riconosca il disegno stilizzato dell’orchidea perché la moglie è colombiana, ma l’episodio della foto scattata col cellulare e i successivi sviluppi rasentano il ridicolo). La sceneggiatura desta dunque un po’ di imbarazzo, compreso il fatto che non ci sia una, nemmeno una, battuta da ricordare. La fotografia delle prime sequenze (i fatti che si svolgono in Colombia) inoltre ricorda un po’ troppo quella di Traffic per le scene messicane (contaminate dal giallo del sole). Il vero motivo d’interesse, manco a dirlo, sta nell’ammirare la bellezza assassina di Zoe Saldana, e pure Jordi Mollà (che interpreta il tirapiedi Marco), tenebroso e affascinante, accontenta l’altro sesso. Una nota positiva, poi, si riscontra nel finale: tranquilli, non vi racconto l’epilogo (prevedibile, comunque…), vi dico solo che il film si conclude con il pezzo Hurt dei Nine Inch Nails, nella versione di Johnny Cash.