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Colpa delle Stelle

Creato il 09 settembre 2014 da Mattia Allegrucci @Mattia_Alle
Colpa delle StellePiangi, piangi, piangi. Eddai, piangi. Forza, su, piangi. È così che si rivolge al pubblico ogni singolo fotogramma di Colpa delle stelle dall'inizio alla fine della sua lunga durata. E tu lo fai, piangi, ti commuovi, perché tutti i fattori in gioco si interessano al fatto che le tue ghiandole lacrimali dovranno esplodere entro la fine del film, o perlomeno fare fuoriuscire qualche goccia e farti diventare gli occhi lucidi. E ci riescono, inevitabilmente, a farti piangere, perché ci sono due ragazzi malati di cancro che non si fanno forza tra di loro, ma che si innamorano nella maniera più naturale possibile, dimenticandosi anche troppo di essere dei malati terminali, e quasi ce ne dimentichiamo anche noi, tanto sono belli e puliti e in salute i protagonisti Shailene Woodley e Ansel Elgort. La sceneggiatura è di Scott Neustadter e Michael H. Weber, ma solo sulla carta, perché non hanno fatto altro che recuperare pari pari i dialoghi del libro di John Green e tagliare qualche parte qui e là, per non perdere quella sorta di realismo che pervade il prototipo letterario. Oppure per non perdere la fandom, che ha amato le classiche frasi zuccherose tipo "mi sono innamorata di lui come quando ci si addormenta". E poi, diciamoci la verità, se questo film fosse stato italiano, e magari diretto da un certo Federico Moccia, anche il meno attento tra gli spettatori avrebbe fatto le pulci ad ogni incongruenza, ma siccome viene dall'altra parte dell'oceano possiamo perdonare il comportamento fasullo dei genitori e, per citare qualcosa di veramente indigesto, l'incredibile pseudo-redenzione di uno scrittore alcolizzato e insofferente interpretato da un Willem Dafoe inaspettato. Ma gli attori fanno quello che devono fare, e la regia anche: Josh Boone si muove dolcemente con dolly, carrelli e movimenti sinuosi attraverso la narrazione, e rende la lacrima ancora più facile, insistendo sulla fluidità della macchina da presa, rubando da Spielberg e anche un po' da Shadyac, percorrendo passi già segnati e non osando mai (a parte in un sorprendente momento drammatico ad un distributore di benzina). Ottimo però che non ci si concentri esclusivamente sulla storia d'amore, ma che ci si ricordi anche di amici e parenti, facendo vedere quanto possa essere dura per chi convive con dei malati terminali, anche se il tutto è costruito e finto fino al midollo. Insomma, per rendere il discorso più breve possibile, ognuno di noi troverà momenti e situazioni per commuoversi e arriverà alla fine della visione dicendo "Beh, non è stato malaccio", compreso il sottoscritto. Perché non crediate che non abbia riso alle battute divertenti e che non mi siano venuti gli occhi lucidi nei momenti più intimi tra la Woodley e sua madre (perché il rapporto genitori-figli e molto più interessante e meno esasperato della storia d'amore tra i due), tuttavia non posso che uscire amareggiato dalla visione di un film che ha utilizzato ogni arma in suo potere - compresa la fotografia di Ben Richardson - per farti piangere, senza osare riflessioni più interessanti, senza proporre scene non artificiose e, soprattutto, senza evitare di edulcorare almeno mezza sequenza. Ma se pensate che uno scrittore ubriacone che vive ad Amsterdam e che ha sfanculato i protagonisti a metà del film decida di intraprendere un viaggio fino in America solo per consegnare la stampa di una e-mail, beh, allora il film vi ha fregato in tutto e per tutto.

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