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Com’è finita la pernacchia solare

Creato il 11 giugno 2011 da Stukhtra

In sostanza, poca cosa

di Mario Gatti

Un film già visto, il cui copione è stato interpretato dal Sole esattamente come nei giorni intorno al 15 febbraio scorso. Proprio come allora le aspettative di poter avere sulla Terra degli effetti significativi in seguito a un flare di classe energetica elevata sono state disattese, anche se come vedremo qualcosa è successo. Di certo non si è verificata la tempesta magnetica di grado strong, che avrebbe potuto produrre delle aurore polari fino a latitudini di circa 50° (e noi, da queste parti, non siamo poi così lontani). Ma andiamo con ordine…

Alle 20.00 TU del 9 giugno il satellite ACE della NASA, che si trova in orbita attorno al punto lagrangiano L1 del sistema Terra-Sole, ha rilevato il passaggio dell’onda d’urto precedente il passaggio dell’eiezione coronale di massa (CME) del 7 giugno, emessa poco dopo un flare di classe M2.5. Con un certo ritardo sui tempi previsti, in quanto la velocità del vento solare era di soli 400 chilometri al secondo, quindi ben al di sotto di quelle usuali quando il vento viene trascinato da un’emissione di massa. Il campo magnetico interplanetario che viaggia con il vento solare, intrappolato dentro di lui, aveva un’intensità di 9 nanoTesla (nT) e la sua componente perpendicolare al piano dell’eclittica un’intensità di –6 nT. Quest’orientazione (detta southward in gergo solare) è uno degli ingredienti necessari per cucinare una bella tempestina. Peccato però che siano mancati gli altri: la velocità, la temperatura e la pressione del vento solare, che si sono mantenuti su valori molto bassi. Infatti la risposta della Terra è stata fiacca: l’indice geomagnetico planetario, il “termometro delle tempeste”, ha raggiunto al massimo il valore 4, cioè la soglia che deve essere superata per avere una situazione di storm (tanto per continuare a parlare in “solarese”). La prevista tempesta G3 si sarebbe verificata nel caso in cui l’indice avesse raggiunto un valore pari a 7 e lo avesse mantenuto almeno per qualche ora.

Com’è finita la pernacchia solare

Ecco come si presentava la situazione del vento solare nel primo pomeriggio del giorno 10. Come si vede, la velocità è bassa, la componente del campo magnetico è tornata su valori positivi, mentre la pressione è attestata intorno a 1 nanoPascal (nPa). Normalmente questo valore è più basso, ma qui risente dell'onda d'urto della CME che comunque sulla Terra è arrivata, anche se gli effetti previsti sono mancati. (Cortesia: NOAA/SWPC)

Però qualcosina c’è stata. Un flare è un fenomeno transitorio nel quale viene emessa una quantità impressionante di radiazione elettromagnetica. Questa raggiunge la Terra dopo 8 minuti e può produrre i cosiddetti black-out radio, tanto più severi quanto più il flare sale nella scala dell’energia. In seguito al flare, però, dall’atmosfera solare (l’alta cromosfera e la corona) possono essere emessi fasci di particelle (segnatamente protoni, elettroni e in misura minore nuclei di elio) molto energetiche e quindi anche molto veloci. Queste raggiungono la Terra in tempi più lunghi di quelli della luce, ma molto più brevi di quelli del vento solare. Il loro viaggio può durare da una ventina di minuti a qualche ora, a seconda della velocità. Quando impattano con l’atmosfera terrestre, questi sciami di particelle producono le cosiddette tempeste di radiazione. Che, al contrario di quelle magnetiche, possono essere pericolose anche per la salute umana, mentre le altre lo sono solo per le tecnologie. Infatti queste particelle possono comportarsi esattamente come le radiazioni ionizzanti, dannosissime per l’uomo. In più, essendo cariche, possono anche loro danneggiare circuiti e componenti dei satelliti in orbita intorno alla Terra. Il pericolo cresce quanto più si sale di altitudine: chi sta con i piedi poggiati a terra non corre nessun rischio sotto l’ombrello della magnetosfera, ma se la tempesta è intensa allora i passeggeri e gli equipaggi degli aerei in volo ad alta quota (dove la magnetosfera si “assottiglia”) e su rotte polari (dove le particelle energetiche vengono trascinate dal campo magnetico terrestre) possono essere soggetti a rischio. Chi sta peggio sono gli astronauti in attività extraveicolare, che sarebbero investiti in pieno senza la possibilità di alcuna protezione. Anche se della vera radiazione elettromagnetica ionizzante (raggi X e ultravioletti estremi) viene davvero prodotta in questi casi dalle particelle per effetto di frenamento contro l’atmosfera (la Bremsstrahlung), alcuni autori preferiscono usare un termine che richiama la vera causa del fenomeno e parlano di SEP, che sta per Solar Energetic Particles (SEP). Infatti i livelli di queste tempeste sono associati a diverse soglie superabili dall’intensità del flusso di particelle (soprattutto quello dei protoni).

Com’è finita la pernacchia solare

Rappresentazione di fantasia dell’arrivo di sciami di SEP nell’alta atmosfera. (Cortesia: S. Swordy/NASA)

Quel “qualcosina” di cui si diceva è stata proprio una piccola tempesta di radiazione, iniziata il 7 Giugno alle 08.20 TU e terminata il giorno dopo alle 17.10 TU, con picco alle 18.20 TU del giorno 7, con un valore di flusso di protoni di energia superiore a 10 MeV pari a 73 pfu (particle flux unit: una roba un po’ complicata che qui lasciamo perdere). Sulla consueta scala NOAA/SWPC la tempesta è stata classificata come S1 (minor storm). Di queste mediamente ne capita una cinquantina per ciclo. In quello attuale non siamo ancora arrivati a cinque… Le S1 non hanno nessun effetto biologico e non producono danni ai satelliti. Possono generare solo deboli disturbi nelle onde radio in alta frequenza nelle regioni polari, per la loro interazione con la ionosfera.

Ecco quindi che cosa è successo stavolta: poca roba e per fortuna nessun danno. Nelle ultime ore altre CME sono state emesse dal Sole, anche se non associate a flare energetici. Per cui, magari, nei prossimi giorni, forse… chissà? Ma questo è il bello del Sole: un carattere capriccioso e volubile, condizionato dalla sua forte personalità magnetica.


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