Un uomo con barba e capelli rasati e addosso una tuta arancione – chiari richiami ai prigionieri di Guantanamo, come nel caso di Nick Berg, l'ostaggio americano barbaramente ucciso da al-Zarqawi in persona nel 2004. Al fianco un altro uomo vestito di nero, incappucciato. Sottofondo, avvisi agli americani per fermare le operazioni in Iraq, una frase macabra diretta a Obama – “La sua vita dipendeva dalle tue ultime decisioni”. Poi il boia – dall'accento forse un inglese di East London unitosi come altri alla jihad – ha iniziato la decapitazione.
Ecco il video “Messaggio all'America” con cui lo Stato Islamico ha saltato lo squalo: l'uccisione “in diretta” televisiva di un giornalista americano, James Foley, rapito nel 2012 in Siria. L'annuncio, al mondo, di essere il nemico globale. Quasi a confermare le parole di Papa Francesco, che il giorno precedente aveva detto: «Siamo alla terza guerra mondiale».
Un guerra combattuta per punti, per capitoli, ma sicuramente di carattere planetario. Troppo forte la valenza simbolica della decapitazione di mercoledì, non di certo la prima per chi è abituato a seguire le vicende di quello che fu Isis e ora è il Califfato: ma sicuramente la più evocativa, uno dei gesti di sfida all'Occidente più forti, dopo le Torri Gemelle.
Tutti contro il Califfo, deve essere fermato. Ormai è questo il mantra. L'uccisione di Foley arriva poche ore dopo una fitta serie di attacchi che l'aviazione americana (90 raid in 72 ore) aveva condotto contro postazioni, mezzi e soldati dell'IS. Quella che era nata come un'operazione difensiva per proteggere la base operativa degli advisor a Erbil (la capitale del Kurdistan iracheno) e gli yazidi in fuga, sta acquisendo i contorni di una vera e propria offensiva. Forse incoraggiati dai risultati riportati nell'operazione alla diga di Mosul – dove le forze speciali irachene del Battaglione Dorato hanno fatto buon gioco a terra, con la copertura aerea americana. Forse spinti dal nuovo panorama politico, dopo le dimissioni di Maliki. Fatto sta che l'Occidente guidato dall'America – e pure l'Iran –, stanno aumentando i propri sforzi in battaglia.
Armare i curdi sembra il passaggio obbligato: i peshmerga hanno bisogno di tecnologia da mettere in mano ai combattenti (in realtà servirebbero anche uomini, tanto che il Pkk e le YPG siriane stanno provvedendo a loro volta ad addestrare gli yazidi, sulla leva del risentimento). L'Italia partecipa attivamente alla fornitura, e Renzi ha voluto sottolineare la nostra presenza, con una visita lampo a Baghdad e Erbil (mercoledì). Con ogni probabilità forniremo – oltre agli aiuti umanitari – anche armamenti di fabbricazione sovietica rimasti nelle stive del nostro arsenale dai tempi dei sequestri durante la guerra dei Balcani; in più Roma dovrebbe inviare le mitragliatrici Mg 42/59, attualmente ad uso limitato di Polizia e Carabinieri, su alcune unità navali. Ferri un po' vecchi, che si spera possano avere un buon utilizzo. Anche Francia, Germania, Gran Bretagna e Canada, daranno il loro contributo – e pure altre nazioni sono pronte.
Sembra che i curdi si sostituiscano ai Caschi Blu: una provocazione, ma nemmeno troppo, con l'Onu che nella vicenda irachena è restato molto in sordina.
Resta comunque, che le risoluzioni sarebbero servite relativamente: il Califfo, per fermarlo, deve essere combattuto – altroché elevarlo da interlocutore, come qualche improvvisato politico nostrano ha proposto giorni fa.
«Lo Stato Islamico è più pericoloso di al-Qaeda», ha scritto il colonnello Clint Hinote in un'analisi per Cicero Magazine. Al-Qaeda in effetti consolidò il proprio potere durante gli anni '90, costruendo basi di alimentazioni in Afghanistan e cellule in giro per il mondo: c'erano evidenti segnali della sua pericolosità prima del 9/11 segnali che adesso sembrano niente in confronto alle pistole fumanti dell'IS, che ha creato un proprio santuario, sostenuto da una propria economia, e ha armato il proprio esercito con mezzi di ultima generazione sottratti dai depositi siriani e iracheni. Con questi, parla apertamente di attaccare l'Occidente.
L'IS supera la concezione di combattenti e di milizia. La comunità internazionale forse non ha ancora compreso che nei propri territori ha la completa sovranità e il completo controllo, non si tratta di semplici militanti religiosi e terroristi armati, si tratta di uno Stato con i propri soldati: il Califfato. Qui supera qualsiasi situazione di counter-terrorism finora provata. Il Califfo ha capito, dall'esperienza di al-Qaeda, che senza una piena legittimazione territoriale non c'è possibilità di confronto: per questo ha imposto leggi (la sharia), creato forze di polizia così come strutture pubbliche e sociali, e puntato da subito allo sfruttamento delle risorse – la “statehood”, l'essere Stato, il Dawlah.
Ma essere uno stato, diventa dispendioso: le risorse economiche finora si sono rivelate buone, ma i saccheggi, l'estorsione, i rapimenti, i traffici illeciti di petrolio, hanno proiezione limitata. Per il momento, intento nella conquista e nella consolidazione del territorio, il Califfo non ha trovato troppi ostacoli, anzi: ma successivamente queste “strutture” di sostentamento, saranno esposte e minarle porterebbe al collasso dell'IS. Inoltre, finora la governance dello Stato Islamico è basata tutta sulla forza e sulle repressioni brutali di eventuali dissidenti: ma anche questa è una realtà che non ha futuro, e arriverà il momento in cui il sostegno a eventuali sovversivi può rappresentare un'altra leva per il rovesciamento dell'IS.
Il Califfato non è certamente più forte di una coalizione dei suoi potenziali rivali, ma è adattivo, creativo, ambizioso; e davanti ha trovato, fin qui, una risposta internazionale rigida e prevedibile. Finché si continua a vedere l'IS semplicemente come un gruppo terroristico, la comunità internazionale giocherà sempre in difesa. Per combattere il Califfo, occorre confrontarsi con il suo uno Stato e sfruttare (con un po' di fantasia) le debolezze della statehood. Altrimenti il Dawlah si rafforzerà sempre di più, fino a quando potrà passare all'offensiva estera.
Certo, nessuno gongola per una nuova guerra in Iraq, ma se l'alternativa è la creazione di un Stato che possa fare da bacino energetico per l'esportazione del terrore globale, la soluzione sembra la più immediata.
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