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Voglio fare il mangaka!
Non m’importa nulla: il mio sogno è disegnare un manga ed essere un mangaka!
Sembra essere diventato un po’ il mantra degli ultimi tempi. Questa strana voglia così esotica di diventare qualcosa che non si è, e fare qualcosa che non si può fare.
Molto scherzosamente, ne abbiamo parlato già QUI. E probabilmente è merito (o colpa) di quell’articolo se spesso, tra le chiavi di ricerca al mio blog, mi ritrovo “come diventare mangaka”.
Oggi affrontiamo il discorso in maniera seria (più o meno).
La globalizzazione ci ha consentito di trasformare il nostro mondo nel famigerato villaggio globale, quindi è normale che prodotti un tempo ritenuti “lontani e di nicchia” siano diventati appannaggio del mondo intero. Il manga, il fumetto giapponese, non fa eccezione.
Se fino alla metà degli anni ’90 era ancora un qualcosa di esclusivo, di sconosciuto, da una decina d’anni a questa parte il prodotto “manga” si è ritagliato lo spazio e la dignità che si merita*.
Con tutti i pro e i contro del caso.
E se tra i pro ci sono sicuramente la diffusione di un numero spropositato di titoli**, tra i contro assistiamo alla nascita di tentativi maldestri di imitazione dei prodotti “autoctoni” di altre nazioni.
La moda del voler diventare mangaka – in Italia -, è dilagata. Molti ci credono per davvero. Coltivano il sogno di poter diventare talmente bravi da riuscire a superare i maestri nipponici sul loro stesso terreno.
Il guaio è che non tengono conto del fatto che potranno essere bravi uguali, ma la diffidenza (anzi, il razzismo) tipicamente giapponese fa in modo che i lavori tipicamente giapponesi…rimangano tipicamente giapponesi.
Un mangaka a caso
Un occidentale non ha la minima speranza di poter diventare un mangaka, pubblicare con una CE fumettistica di quelle che contano, ed essere riconosciuto come tale***-
Liberissimi di credere a questo sogno di diventare mangaka, liberissimi di aggrapparsi a questa speranza, se volete…Ma come dice il detto: “Chi di speranza vive, disperato muore”.
Un europeo (anzi, restringiamo il campo – un italiano) che si mette in testa di voler diventare mangaka è come un cinese che pensa di poter aprire una pizzeria a Napoli e mettersi alla pari con Sorbillo.
Potrà pure impegnarsi quanto vuole, potrà essere anche bravo, ma tutti preferiranno sempre Sorbillo alla “Pizza del Cinese”****.
E quando (o dove) te lo fa un cinese un ripieno così?
Il bello (o il brutto) è che le Case Editrici nostrane stanno cominciando a tirare fuori aborti editoriali, spinti sull’onda di questa nuova moda.
Da qualche tempo a questa parte, in fumetteria, si trovano questi “manga italiani”, che sono di una tragicomicità assoluta. Ma non nel contenuto (che può essere anche valido), bensì nella presentazione del prodotto stesso.
“Manga Italiano” è una locuzione grottesca, è come se definissi una persona “Alta bassa”.
Parliamo di cose inconciliabili, perché lontanissime tra loro.
Perché se il prodotto è un “manga” (ovvero il termine che indica il fumetto autoctono giapponese), non può essere in alcun modo “italiano”.
E se il prodotto è “italiano” (quindi un fumetto nel senso “stretto” del termine), non può essere un manga.
Sarà uno “scimiottamento”, che ti farà dire: “Però! Sembra quasi di leggere un manga!”
Ma tra un “manga” e quel “sembra quasi”, ce ne passa di acqua sotto i ponti…
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*Naturalmente parliamo nell’ambito degli appassionati: in Italia, nonostante ci sia un’offerta fumettistica enorme, il medium fumetto viene visto ancora come il “giornaletto per mocciosi”. Ma questo è un altro discorso…
**Sebbene, come abbiamo visto, alla lunga provoca la morte dell’editoria fumettistica (e non solo quella)…
***Ovviamente sarà il tempo a smentirmi.
****Non me ne voglia il compagno di cella Davide, che in questo bel post ha scritto una cosa condivisibile dal punto di vista letterario…Ma il paragone con la pizza no, l'ha toppato. Bisogna essere di Napoli (razzismo mode on) per capire cosa vuol dire “mangiare una pizza”. Perché solo a Napoli (e solo chi lo fa da generazioni - e quindi si, la pizza ha una sua genetica*****) ti preparano una vera pizza; altrove, esistono solo ottime focacce. Non pizze.
*****Nota della nota: te ne accorgi subito quando ti trovi davanti a un pizzaiolo “incompetente”. Soprattutto a Napoli. Un cinese che cucina una pizza è come un italiano che disegna un manga. O un tortonese che vuole produrre baci di dama a Napoli. Ah ah ah! XD
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Da oggi cambio orario di pubblicazione degli articoli; d'ora in poi li troverete la sera a partire dalle 20:30.Ma per voi lettori, in sostanza, non cambia nulla.
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