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Come eravamo, il viaggio in Nepal negli anni ’70

Creato il 10 agosto 2012 da Cren

Quando Charles Duchaussois scriveva il suo libro, Flash a  Katmandu, Robi era già in marcia sulle strade dell’Oriente. Siamo nella prima metà degli anni ’70 e la rotta Europa, Iran, Afghanistan, Pakistan, India e Nepal era una via molto frequentata, su bus, auto scalcinate, bus poi rivenduti lì. Duchaussois racconta una Kathmandu tetra, centrata sul commercio di eroina, affaristi vari, medici improvvisati per iniettare droga; Robi la descrive come un paradiso, senza macchine, con i templi vissuti, con gente ospitale e simpatica.

Come sempre la realtà è una via di mezzo, tanti freakkettoni impegnati a farsi, a rubare le statue nei templi, a commerciare ogni tipo di droga dentro e fuori dal Nepal ma anche tanta gente che trovò  un luogo bello, antico e  tranquillo, dove fedi tolleranti, riti partecipati,  inducevano alla serenità. Poi era bello il viaggio, via strada, lento, con immense suggestioni: la Turchia, l’Iran, l’Afghanistan e l’incredibile Kabul, il Pakistan e l’India (il sogno di tanti). Magari una scappatina a Goa per un Full Moon party psichedelico,  dove tanta gente si è persa, poi di nuovo in bus verso Kathmandu, il cui suono era già un mito.

In Nepal non c’era niente, tutto era essenziale rispetto all’Europa, costosa e consumista del boom economico; era un ritorno al passato, allora anche da noi distante pochi anni. Chi riusciva ad arrivare fra le risaie di Thamel con un autobus di seconda o terza mano, magari carico di frigoriferi e cucine, riusciva a guadagnare quanto bastava per vivere un anno, senza correre, senza stress.

 Robi salì a piedi dall’India lungo l’antica carovaniera che parte da Bara (Terai e dalì in India) e raggiunge la Valle a sud (le strade erano, se possibile peggiori di adesso e il monsone le bloccava per settimane). La stessa via percorsa dai missionari italiani del 700 e negli anni ’30 da Giuseppe Tucci. Quando entrò nella Valle, progressivamente da villaggio a villaggio, quasi tutto sembrò d’entrare in una favola e, infatti, non si è più mosso da lì e ce lo racconta in questa intervista.

Fu il primo ad aprire un ristorante italiano, il Marco Polo che ebbe grande successo fra alpinisti e fancazzisti dell’allora esistente ambasciata italiana; nel suo piccolo ha dato a tanta ragazzotti gli strumenti e l’aiuto economico per imparare un lavoro e costruirsi un esistenza.  Molti dei suoi dipendenti hanno aperto bakery, ristoranti o trovato lavoro negli hoetls a 5 stelle, che agli inizi degli anni ’80 comparvero nella capitale.

Pensare come è cambiato il mondo: viaggiare via strada in Iran e in Afghanistan è impossibile oggi; il Pakistan è sempre più pericoloso; Kathmandù è diventata una semi metropoli polverosa, inquinata e sovraffollata (di auto). E’ cambiata anche la gente, tutti più incazzati e alcuni violenti. Si sta discutendo, in questi giorni, se obbligare i trekkers (circa 100.000 persone all’anno) ad andare sulle montagne con guida e portatori locali (questa norma oggi valida per alcune aree quali l’alto Dolpo e il Mustang). Questa proposta è stata sollecitata da alcune ambasciate occidentali, dopo l’uccisione di alcune giovani donne e le minacce subite da altre. Due ragazze uccise nel Langtang e una nel Khumbu nell’ultimo biennio. Fatti mai accaduti con questa continuità.

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