Magazine Talenti
Lo Zenzero ha colpito di nuovo. E' in pratica l'unico attorno a me che sistematicamente scrive cose disarmanti, che ti lasciano a nudo. Mi piace un casino come riesce ad arrivare al sodo delle cose, specie quelle infantili. L'ultimo post è magnifico, ti fa tornare all'età di ragazzino, oppure ti sempra di vedere un film che rappresenta quel periodo.
A me ha ricordato due cose.
1) Che quando ero alle medie mi imposi sui ragazzi per giocare a palla a volo. Non so perchè ma i ragazzi sembravano fare sempre cose più interessanti. A scuola mentre noi cucivamo stupide presine di feltro loro con una pila e del filo di rame costruivano dei congegni che permettevano di tagliare la plastica dei pennarelli come se fosse burro - ganzissimo!
Essendo l'unica femmina che provava ad inserirsi fra loro non fu facile, e presi una caterva di nocchini. Quando si passava la palla in cerchio se la tiravo male e cadeva a terra erano nocchini, riservati solo a me perchè quando la facevano cadere loro bastava un'imprecazione tipo "Cece, sei un bischero!". Era per scoraggiarmi, mandarmi via, era ovvio. A volte le ragazze chiedevano di giocare con loro e allora si faceva che chi la faceva cadere veniva eliminato e i ragazzi schiacciavano la palla addosso alle ragazze per eliminarle subito. Io in qualche modo restavo in gioco più a lungo, a volte più di molti dei ragazzi. Poi quando facevamo delle partite dietro la rete di filo di ferro, pigliavo i nocchini ugualmente, però facevo parte di un team e me li davano per incentivarmi ad impegnarmi di più. Non ero molto alta e poco atletica ma mi davo da fare. Ad un certo punto qualcosa è cambiato. I nocchini li prendevo sempre, tanto che l'abbassarsi per evitare le braccia dei compagni quando la traiettoria della palla era ovviamente sbagliata, era diventato un tic automatico, ma mi accorsi che i compagni provavano un qualcosa simile al rispetto. Ero stata accettata come un ibrida parte del gruppo. Ricordo che questo mi rese molto orgogliosa, avevo vinto un gran battaglia. Questo però mi rese una snob nei confronti delle ragazze.Primo passo sulla strada del mio diventare quella che sono diventata.
2) Quando ci trasferimmo in Piazza dei Mozzi, ero oramai in terza media, e ancora ero socialmente un paria, vedevo dalla finestra della camera dei miei il giardinetto sul lungarno di sotto, accanto alla chiesa Anglicana. Ogni tanto ci si trovavano dei ragazzi che venivano da via dei Neri o Via S. Niccolò per tirare 4 calci ad un pallone nella striscia asfaltata parallela tra il muretto del giardino Torrigiani e la siepe di bosso che delimitava il perimetro del giardinetto. Li convinsi a farmi fare il portiere e visto che nessuno lo voleva fare mi accettarono in quel ruolo. Sull'asfalto non si aspettavano certo che mi buttassi a corpo morto per fermare il pallone ma qualcuna la fermavo. Erano gli ultimi momenti prima della trasformazione da crisalide a farfalla e quindi durò poco. I ragazzi sparirono deviati da studi e attività lavorative familiari. Io cominciai a leggere seduta sulla spalletta dell'Arno nella speranza che qualche ragazzo si fermasse per fare amicizia.
Non sono certa di essere riuscita a non essere patetica, se guardo indietro mi sembra che tutta la mia infanzia lo fosse, per quella solitudine del non appartenere a nessun gruppo, di essere un'outsider, e l'antipatica sensazione di essersi imposti con quelli che non mi volevano. Ho vinto le mie battaglie ma sono diventata un soldato, e l'andare in guerra non era mai stato il mio sogno. La discriminazione sessuale, la lotta per venire accettata come individuo a prescindere dalle pulsioni dell'altro sesso è stata e ancora è fonte di frustrazione immensa, ed è anche quello che mi sembra identifichi più di ogni altra cosa come individuo. Non ero nata maschio purtroppo, ho cercato di esserlo in tutti i modi, poi ho capito che non lo sarei mai stata ma che non avevo le stesse opportunità. E quindi ho fatto il possibile per non assoggettarmi alla ristrettezza di opzioni che mi si presentavano. Tutto qui.
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