Questo è il primo di tre articoli che avranno lo scopo di riportare le osservazioni e i commenti su di un esperimento che puntava a responsabilizzare alcuni componenti di una squadra, facendoli diventare degli Sport Coach all’interno del proprio gruppo.
In una qualsiasi squadra, indipendentemente dallo sport praticato, uno dei compiti più delicati di un allenatore è quello della scelta del “capitano”.
L’aiuto del Mental Coach in questa fase è secondo me fondamentale.
Perché consideriamo complicata la nomina di quello che potremmo definire il “primo cittadino” dello spogliatoio? Cosa rende difficile il compito del mister nell’individuare fra gli atleti questa figura? La risposta a queste domande, senza ombra di dubbio, riguarda le caratteristiche caratteriali, comportamentali, la capacità di assumersi delle responsabilità, e altre doti che elencheremo in seguito, che la persona che stiamo cercando dovrebbe avere nel proprio bagaglio personale.
Il capitano si trova spessissimo a dover gestire da solo le infinite problematiche che nascono all’interno del gruppo, a fare da tramite fra lo stesso e lo staff tecnico, e dulcis in fundus a ricoprire il ruolo di filtro fra la squadra e la società sportiva di appartenenza. Presidente in testa!!
La letteratura psicologica sportiva elenca numerose doti che dovrebbe possedere un buon capitano:
personalità forte e altruistica, autorevolezza, capacità di far rispettare le regole, spirito di sacrificio, possibilità di dare il buon esempio, e tutte quelle caratteristiche che si possono riscontrare in un Leader.
Da bravi Mental Coach potremmo aggiungerne altre: essere un attento ascoltatore, un buon dispensatore di consigli, avere una mentalità positiva, e magari essere anche un “ristrutturatore”, cioè una persona capace di far vedere le situazioni negative sempre da un altro punto di vista, trovando delle componenti di positività anche nelle occasioni non proprio favorevoli.
Come potrete facilmente intuire, non solo è estremamente difficile che un singolo atleta possa avere tutto questo e magari anche altro dentro di se, ma che anche se fosse così, non è detto che questo “fenomeno” faccia parte del nostro team. E allora come si fa?? Presto detto.
Troppo comunemente, purtroppo, all’atleta che ha calcato i “palcoscenici” più prestigiosi, oppure a quello con più anni di “servizio”, vengono affibbiati i gradi di capitano, con tutto quello che ne deriva.
Quali saranno le conseguenze di questo scientificissimo metodo di scelta, se ad “anzianità” o “prestigio” non dovessero corrispondere nemmeno una parte di tutte quelle doti che abbiamo elencato in precedenza? Credo che tutti voi, se praticate uno sport di squadra, oppure avete qualche amico/a che lo pratica, conosciate la risposta. Un disastro!!
Ma di questo ne potremmo più specificatamente parlare in un’altra occasione.
Adesso vorrei puntare l’attenzione su una situazione quasi ottimale.
Occupiamoci quindi del caso in cui, non solo nel gruppo ci sia un giocatore in possesso di almeno la metà, se non di più, delle doti descritte per ricoprire il ruolo in questione, ma che l’allenatore lo individui e lo nomini capitano.
Basta da solo ad occuparsi di tutte le questioni che si possono generare in un’annata sportiva? Riuscirà a gestire i momenti di difficoltà di uno spogliatoio e a relazionarsi con tutte le componenti esterne?
Dopo 15 anni di attività come allenatore, di cui almeno 10 ad alto livello, posso tranquillamente affermare di no.
Dalle considerazioni fatte fino ad ora e dall’ultima affermazione di cui sopra, è nata l’idea di affiancare al capitano altre due persone, scelte sempre fra i giocatori, nel caso specifico dal capitano stesso, che avranno il compito di aiutarlo in tutte le mansioni solitamente svolte dal solo graduato della squadra.
A questo trittico è stato dato il nome di Consiglio di Squadra (C.d.S.), e nella piramide gerarchica si va a collocare fra il capitano e la squadra stessa.
A questo punto qualcuno di voi potrebbe dire…” Bella scoperta!! Da che mondo è mondo dentro una squadra vengono naturalmente identificate, da parte del gruppo stesso, altre figure di Leader. E spesso fanno le veci del capitano in tantissime occasioni.”Giustissimo, ed infatti avviene quasi sempre così. Il problema è che queste fortissime personalità, spesso i giocatori più anziani, quelli che in gergo vengono chiamati “Senatori”, agiscono nel più delle volte da cani sciolti e non sempre per il bene del gruppo. Molte volte sono spinti da tornaconti personali e il capitano da solo riesce difficilmente , in questi casi, a far rispettare le regole o a compattare lo spogliatoio.
Oltre a far svolgere a tre persone quello che di solito, ufficialmente, viene chiesto ad una persona sola, a responsabilizzare altri due atleti all’interno del gruppo, e a far si che il controllo dei vari focolai di malcontento sia più attivo, ci sono altri aspetti più legati al Coaching che vorrei sottolineare nella decisione di istituire questo Consiglio di Squadra.
Il primo di questi aspetti è la possibilità di sfruttare le caratteristiche personali di questi tre leader, come Coach.
Se il capitano, come nel caso di cui stiamo parlando, è stato scelto seguendo criteri basati sulle caratteristiche caratteriali e di personalità in linea con quelle analizzate in precedenza, questi sarà una persona con delle innate doti da Mental Coach. Spetterà all’allenatore, o meglio al Coach affiancato alla squadra, massimizzare, indirizzare, ed in fine utilizzare queste risorse.
Seguendo lo stesso ragionamento, il capitano da noi nominato dovrebbe scegliere gli altri due basandosi sulle capacità che a noi interessano, soprattutto se siamo stati noi stessi ad indirizzarlo nella ricerca. La scelta perfetta sarebbe quella di puntare sui compagni con le doti più simili alle sue, o meglio, quelli che addirittura posseggono quelle caratteristiche che a lui mancano.
Nel caso in cui tutto questo dovesse avvenire, ci potremmo trovare di fronte ad una struttura all’interno della squadra, sempre in contatto e guidata dall’allenatore/coach, in grado di risolvere una miriade di problemi autonomamente, e di motivare tutti gli altri giocatori verso il raggiungimento dell’obiettivo comune.
L’ideale sarebbe che i tre componenti del C.d.S., si occupassero a seconda della propria risorsa dominante, ognuno di un aspetto fondamentale, che queste doti fossero ampiamente riconosciute da parte del gruppo, e considerate come delle risorse a cui attingere.
Il caso specifico che sto man mano relazionando non ha potuto contare su una situazione ottimale come quella che abbiamo appena descritto, ma ci siamo andati piuttosto vicini.
Nei tre componenti ho individuato e massimizzato le seguenti caratteristiche: Autorevolezza ed Esempio, Pazienza e Capacita di ascoltare, Positività e Fisiologia potenziante.
Il capitano, dotato di una innata attitudine al comando e ottimo esempio da seguire, si è occupato, fra le tante altre cose, di disciplinare ed educare le ragazze più giovani, alcune alla prima esperienza lontane da casa, aiutandole ad integrarsi con le giocatrici più esperte e a mantenere la concentrazione in tutte le fasi dell’allenamento.
Una delle altre due, dotata di una pazienza certosina, è stata indirizzata verso un “ascolto attivo”, estremamente attento e focalizzato nel non snobbare nessuna problematica, anche quella che poteva apparire a tutte le altre di pochissimo rilievo. La stessa aveva poi il compito di portare all’attenzione dell’allenatore le situazioni di disagio che ogni atleta stava vivendo durante la settimana.
In fine la terza, in possesso di un buon umore ed un sorriso disarmanti, è stata istruita nel concetto di Fisiologia e Focus. Oltre a migliorare sempre di più la propria condizione mentale, le ha permesso di aiutare le compagne a vedere ogni problema sempre da un altro punto di vista, a sorridere, e pensare sempre positivo, così che anche nella giornata più nera si potesse trovare un po’ rosa.
Tutto questo ha portato il gruppo a diminuire drasticamente le tensioni scaturite dalle sconfitte, dalle incomprensioni che immancabilmente accompagnano i giocatori durante una lunga stagione, e ha migliorare l’umore generale che nei mesi invernali condiziona molto il rendimento dei singoli atleti.
Tutto questo è solo un’anticipazione di quello che è accaduto grazie all’introduzione di questa struttura intermedia (C.d.S.), mi premeva soprattutto sottolineare in queste prime righe le problematiche che mi hanno portato a fare questo esperimento.
Come e quando è stato creato il C.d.S., gli altri aspetti legati al coaching, i rapporti con l’allenatore, e anche tutto ciò che non è andato come si poteva desiderare verranno trattati in altri due articoli che mi impegno a scrivere al più presto.
Nella speranza che questo argomento vi abbia interessato e stuzzicato, aspetto i vostri commenti e sarò felice di rispondere alle domande che vorrete farmi.
Di William Fiorani