Magazine Cucina
La prima bocca dice:
io voglio del vino asciutto.. rosso chiaro… con trasparenza di rubino. Accostando il bicchiere alle labbra, un tepore profumato mi deve leggermente inebriare. Al palato deve apparire quieto, scorrevole e dissetante. Nella gola deve scivolare come una cascatella cristallina di pace raccolta e di poesia silenziosa. Attraverso i suoi riflessi devo vedere la linea flessuosa del suo profilo sottile di vespa chiaro, sanguinello di fragola filtrata con vene azzurrine di aria purissima prealpina.
Vino preparatorio … adolescente … primaverile che mi dia un senso di bagno interiore, di sana strigliatura ai muscoli e di leggero calore ottimista!
La seconda bocca dice:
io desidero vino spesso, rotondo, carnoso, nutritivo e pieno. Un vino che mi dice tutto. Niente dolce, sodo, maturo e virile. Quadrato di corpo, quasi fosco nel cipiglio, profondo nello sguardo.
Quando scrive nella tovaglia deve essere nero e fortemente affermativo. La sua macchia versata, ben contornata senza sbavature acquose, nella gola deve scendere come un cibo, come una fetta di carne liquida. Il suo profumo di corto raggio, poco espansivo ma saturo e intenso: un vino del sud dal viso abbronzato, dal nervo solare, dal pugno sicuro, dal grado alto, dalla voce appassionata.
La terza bocca dice:
io lo desidero colore dell’oro, pastoso al palato. Zuccherino alla gola. Vino che canti i vigneti solatii dei colli appenninici dei colli romani e dei golfi estivi… bianco per modo di dire.
Il suo vero colore tra l’oro e il rame con liste d’ottone, con pupille d’oro vecchio e sguardi d’oro.
Nuovo sulla lingua, si deve distendere come l’olio e nella gola deve scendere come il velluto.
Allo sguardo deve apparire come il sole in bottiglia, aroma di pesca matura, forza d’un liquore fluidità di una chioma tizianesca. Il bocca deve riempire caldamente con ingenuità infiammante.
Appena bevuto deve trasformare il sangue in oro solare, le vene irradiare luce fosforescente,
dando un senso di beatitudine.
La quarta bocca dice:
io ho tutt’altri gusti. Sono metropolitano e notturno. Desidero vino: né solido, né scuro, né leggero, né dorato; né dolce, né passito; né tizianesco, né rubino. Ma un vino spumante in decolté, d’argento, saltante.
Che appena sturato inizi il suo canto squillante con un colpo di pistola. Con uno scoppio verticale secco diretto al soffitto.
Superbo come il fischio di una vaporiera, con in testa un alto ciuffo di schiuma da parata.
Un vino corazziere.
Un vino che appena giunge in bocca ricorda i cedri, i limoni, gli aranci e le schiume marine, frammisti a bei denti bianchi e a spumeggianti risate di gioia notturna.
Trasparenze di scollatura, riflessi di alabastro, mani di cera inanellate;
Parigi, Sanremo, Montecarlo, roulette, occhi di lampadine, dollari e girandole di fuochi d’artificio.
Brindisi – decorazioni – vittorie – battesimi – cerimonie – fanfare – bottiglie – prese per il collo e uccise contro il muso tagliente delle prue – musica a bordo – fischi di sirene e jazz nei cabaret.
Gioia sturata e fontana iridescente di felicità…
Garçon, champagne!
Fortunato Depero, Quattro bocche assetate, da Liriche radiofoniche, Milano 1934
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