Una foto e un autografo. Come un divo, come un personaggio del Grande Fratello o un calciatore all'uscita dallo stadio. Invece era "il figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo", Massimo Ciancimino. Me lo ricordo ancora quel tardo pomeriggio del 25 maggio 2010, poco meno di un anno fa, alla libreria Feltrinelli di piazza Cln, a Torino. Con due colleghi eravamo andati a vedere un po' come andava la presentazione del libro "Don Vito", scritto da Ciancimino Jr e Francesco La Licata sul padre, e c'era Marco Travaglio. Il piano superiore della libreria era stracolmo, ma è un dettaglio di poco conto, perché uno spazio così piccolo si riempie in fretta. Fatto sta che alla fine della presentazione un uomo di circa sessant'anni, probabilmente siciliano, chiese a Massimo Ciancimino di fare un autografo sulla copia di "Don Vito" e posare per una foto insieme. Mi chiesi se fosse un lontano amico di Vito Ciancimino, un fan di don Vito o se forse fosse qualcuno che - data una certa sovraesposizione mediatica - aveva scambiato questo collaboratore di giustizia per un eroe. Non mi faceva e non mi fa simpatia, e trovavo esagerato chiedere una firma e una foto a lui. Figurarsi adesso, dopo che lo hanno arrestato per calunnia aggravata, per aver consegnato agli inquirenti un pizzino falso, dopo che è stato indagato per mafia, condannato per riciclaggio, dopo le intercettazioni in cui dice all'interlocutore che per la sua collaborazione si sente intoccabile, protetto da quegli inquirenti per cui è un elemento prezioso.
Per fortuna il procuratore aggiunto Antonio Ingroia, tanto criticato da una parte quanto supportato dall'altra, non è uno sprovveduto. Nel suo libro “Il labirinto degli dei” non tratta certo coi guanti, e anche nella prefazione al libro di Maurizio Torrealta “Il Quarto Livello”. Ed è bello vedere ancora una volta come un testo sia trattato in maniera diversa da due persone. Col risultato che da una parte si vuole utilizzare la caduta di Ciancimino jr per attaccare la giustizia, dall'altra si vuole difendere l'operato degli inquirenti che, per forza di cose, devono rapportarsi con personaggi poco chiari. E per fortuna loro sono ben consapevoli del carattere dei loro interlocutori.
C'è il “ventiquattrenne lombardo” Marco Pedersini che su Il Foglio di oggi, in un attacco pretestuoso a Ingroia come ne abbiamo già visti in passato, scrive:
Un vero peccato, poi, che il compito ingrato di arrestarlo sia toccato all’autore della prefazione del libro, il sostituto procuratore di Palermo Antonio Ingroia (sic, in realtà è procuratore aggiunto, non sostituto, nda). Lui, che sui Ciancimino ci indaga da anni, era stato accorto, come se sapesse già dei risultati a cui era arrivata la scientifica: “E’ bene che il lettore sappia che le ricostruzioni e interpretazioni sul ‘Quarto livello’ derivano tutte dalle dichiarazioni di Massimo Ciancimino e da un appunto presentato da lui stesso, e che nulla di tutto ciò, secondo le sue stesse dichiarazioni, è frutto di sua conoscenza diretta, bensì derivata dal padre Vito”. “Se, come giustamente diceva Falcone, è un abbaglio parlare di mafia strutturalmente subordinata alla politica, ancora più sbagliato sarebbe ipotizzare un livello, superiore al ‘livello politico’ e a quello ‘militare’, individuato in un sommo direttorio affollato da uomini degli apparati dello stato, più o meno ‘deviati’”, continuava Ingroia. Invece, qualche mese fa il pm palermitano, si era posto meno scrupoli nell’abbandonarsi a una presa di posizione a favore di Ciancimino jr. Nel capitolo “Padri e figli” del suo libro “Nel labirinto degli dei” (Feltrinelli, 2010), raccontava: “Dal primo incontro ho capito che Ciancimino jr era fatto di tutt’altra pasta. Tanto il padre era ombroso, tanto il figlio Massimo è gioviale. Non ho mai visto il padre abbandonare l’espressione adirata”. Massimo “non è certo attaccato alla cultura dell’omertà. Il suo problema, semmai, è l’opposto: quello di parlare troppo, preferibilmente con i giornalisti, specie dei suoi interrogatori, per i quali è tenuto a rispettare la segretezza”. Per Ingroia, Massimo Ciancimino è “molto ‘americano’, uomo dei media e per i media, nel bene e nel male.E per una metamorfosi mediatica, oggi il figlio di Ciancimino è arrivato a diventare quasi un’icona dell’antimafia”.
Quel "molto americano", che a tratti sembra uscire dalla bocca di Stanis, personaggio di Boris, forse quelli del Foglio l'hanno scambiato per un complimento e quindi vedono in quanto scrive Ingroia un elogio. C'è poi Marco Travaglio che, sul Fatto quotidiano di oggi, dà un'altra lettura dei testi di Ingroia. Lettura quasi opposta, anche perché rende conto di altre frasi del pm antimafia non riportate dal fogliante.
Ingroia, nel libro “Nel labirinto degli dei”, riconosce che Ciancimino jr. “ha sfidato la legge dell'omertà” svelando i retroscena della trattativa Stato-mafia, ma poi ne critica “la smania di apparire”, di “parlare troppo, specialmente coi giornalisti, specie dei suoi interrogatori per i quali è tenuto a rispettare la segretezza... Un imputato-testimone che scrive libri imbastiti con il contenuto delle sue dichiarazioni... uomo dei media e per i media. Per una metamorfosi mediatica, oggi il figlio di Ciancimino è arrivato a diventare quasi un'icona dell'antimafia”. Ed esterna “tanti dubbi sull'attendibilità del giovane Ciancimino” su alcuni fronti, mentre su altri riconosce “l'importanza del contributo di conoscenza da lui apportato”. Nella prefazione al libro di Maurizio Torrealta, “Il quarto livello” (Bur), che parte proprio dalla cartolina manoscritta che ora Ciancimino jr. è accusato di aver taroccato, Ingroia aggiunge: “Mantengo le mie perplessità sull'interpretazione di Ciancimino del Quarto livello... del tutto fuorviante e non aderente alla realtà”.
A me sembra abbastanza chiaro, senza scomodare semiologi, linguisti, strutturalisti russi e compagnia bella, chi dei due dia la lettura più cristallina.