Oggi con mio padre abbiamo parlato di lettura e bambini. Gli ho nominato progetti come Nati per leggere, ad esempio. Di come oggi nascano e crescano tante librerie e progetti ed eventi per bambini e ragazzi. Di come ci sia un mondo, nella letteratura per ragazzi, colorato e ampissimo, divertente e complesso. In continua evoluzione.
Lui dice che oggi c’è davvero tanto a disposizione dei genitori, più di quanto ve ne fosse venti e passa anni fa, ed è convinto che la famiglia sia forse la componente più importante perché una persona si avvicini al mondo dei libri e coltivi questa passione (libri diffusi per casa, frequentare biblioteche, non considerare la spesa per la cultura una spesa frivola e per cui sbuffare).
Poi ci sono le variazioni individuali, certo (mia sorella e io in tal senso siamo due opposti).
Io sono d’accordo con lui.
In ogni caso, nel discorso salta fuori come e quando mi sono avvicinata alla lettura. Confesso che m’è capitato di pensarci, quando chiedono “quale libro ti ha condotto su tale via della perdizione?”.
Allora ci penso.
E mi vengono in mente le abbuffate delle avventure di Salgari e le risate con Roald Dahl. E tante altre cose, i classici, le incursioni settimanali in biblioteca consumando le tre tessere di famiglia, tanto cose, perché non ricordo un solo momento della mia vita in cui leggere (o, ancor prima, ascoltare storie) non sia stato il mio più grande divertimento.
E nemmeno mio padre se lo ricorda.
Ma mi ha raccontato – o meglio, ha inserito dettagli in un mio ricordo – dell’estate prima dell’inizio della scuola elementare. Pensieri un po’ nostalgici e cose belle, per questo le voglio condividere.
Quell’estate i miei genitori avevano affittato una casa nell’Appennino, per sfuggire all’afa emiliana, una casa in un paesetto minuscolo minuscolo, mi capita a volte di tornarci, non c’è davvero niente, forse definirlo paese è dir troppo, abitato da qualche anziano e pochi altri vacanzieri.
Tra questa manciata di persone c’era un maestro in pensione, una persona che ricordo fin da subito mi conquistò. Mi raccontava storie e mostrava tante cose, mi dava piccoli compiti – disegni, scrivere lettere, cose del genere – mi regalò una lente d’ingrandimento piccola e pieghevole, che conservo ancora, per osservare i fiori e le formiche (qualcuna la bruciai, che vergogna!).
Bene, mio padre dice che il mio primo libro letto fu un regalo di questo maestro, il maestro Emilio. Mi regalò un libro con le lettere, un vecchio libro scolastico d’italiano per la prima elementare, e un quadernino. E poi un libro con una storia, dicendomi che avrei potuto leggerlo da sola una volta avessi imparato a leggere.
Mio padre m’ha raccontato che – complice anche un luogo di vacanza in cui non c’era essenzialmente un cavolo da fare, niente televisione, niente distrazioni, solo il paese, le passeggiate, la minipiscinetta gonfiabile, i vecchi – ero totalmente esaltata e mi ci buttai a capofitto, e così feci con l’inizio della scuola, perché volevo assolutamente imparare a leggere, leggermi le storie e leggere quel libro e poi dirlo al maestro Emilio.
Il maestro Emilio non l’ho mai più rivisto. Però i libri da leggere, dopo quello, sono stati e sono ancora e saranno sempre infiniti.
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