Basta sbucciare un satellite ben congelato
di Mattia Luca Mazzucchelli
Tra gli otto pianeti del Sistema Solare, Saturno è quello a prima vista più particolare. Non è solo una palla come gli altri sette: è una sfera incastonata in un anello. In effetti anche Giove, Urano e Nettuno hanno degli anelli, ma sono sottili e molto, molto più difficili da osservare. Insomma, Saturno è diverso. E basta osservarlo anche solo con un piccolo telescopio per rendersene conto.
Foto di famiglia: composizione di immagini raccolte dalla Voyager 1. (Cortesia: NASA)
Il primo a intuire che Saturno aveva qualcosa di particolare fu Galileo, nel 1610. Poi arrivò Christiaan Huygens, che capì che erano proprio anelli quelli attorno al pianeta. Saturno fu osservato ancora e sempre meglio nel corso dei secoli, ma non si è mai arrivati a una spiegazione del tutto convincente della formazione di quegli anelli così spettacolari. Almeno finora. Pare infatti che sia stato fatto un grosso passo avanti in questo senso.
La spiegazione più semplice è considerarli i resti di satelliti o asteroidi che nel tempo sono entrati in collisione con Saturno: infatti le polveri liberate si sarebbero concentrate attorno al pianeta fino a formare una fascia di detriti continua e ben visibile. Ma le sonde che hanno analizzato gli anelli hanno rilevato una quantità di ghiaccio nei detriti che li formano pari al 90-95 per cento: un valore che male si accorda con la teoria della disintegrazione. Satelliti e asteroidi solitamente sono composti a metà di ghiaccio e rocce, quindi negli anelli dovrebbe esserci una percentuale di rocce maggiore rispetto a quella trovata.
Nei giorni scorsi Robin M. Canup, del Southwest Research Institute, ha proposto in un articolo su “Nature” un nuovo modello, più approfondito, che tiene conto dei dati sperimentali. Secondo Canup il punto di partenza, ciò che ha fornito la materia prima, rimane comunque un satellite. Che però non è semplicemente impattato su Saturno.
Anzitutto bisogna delineare la dinamica della nascita dei satelliti, corpi celesti che non si possono formare in punti qualunque ma solo in fasce polverose attorno ai pianeti, né troppo vicino né troppo lontano da essi. Non troppo lontano perché il satellite potrebbe sfuggire facilmente all’attrazione del pianeta e se ne andrebbe a zonzo per conto proprio. Ma nemmeno troppo vicino perché entro una certa distanza dal pianeta, il limite di Roche, la forza del pianeta è tale da indurre delle vere e proprie maree nelle polveri circostanti, impedendone l’unione e anzi distruggendo tutto ciò che va formandosi. Se però le polveri si trovano nella giusta posizione, il satellite può nascere. E subito si trova a dover fronteggiare un problema: se la sua massa aumenta troppo e la nube di polveri e gas non si è ancora dissipata, allora il satellite non riesce a ruotare liberamente attorno al proprio pianeta perché è frenato dall’interazione con i gas e inizia a percorrere una traiettoria a spirale che lo porterà a schiantarsi. Giove ha quattro grandi satelliti, mentre Saturno uno solo, Titano, perciò Canup ipotizza che attorno al pianeta con gli anelli inizialmente si siano formati più satelliti di grandi dimensioni e che tutti tranne uno siano collassati su di esso. Tra loro doveva esserci anche il progenitore degli anelli.
Ma, se i satelliti sono fatti per metà di ghiaccio e per metà di roccia, l’unico modo per spiegare l’esistenza di anelli quasi interamente in ghiaccio è supporre che il satellite in questione fosse costituito da un nucleo di roccia circondato da un mantello di ghiaccio. L’intuizione di Canup è stata proprio seguire il viaggio di un simile satellite tramite una simulazione al computer. La planetologa ha scoperto così che l’ultimo satellite a precipitare doveva avere le dimensioni di Titano, con un nucleo fatto di silicati e l’esterno di ghiaccio. Dopo essersi formato tra i rimasugli della nube, il satellite ha iniziato a muoversi a spirale verso il pianeta fino a superare il limite di Roche. Proprio come la nostra Luna induce le maree sulla Terra, all’interno del limite di Roche anche Saturno genera una marea che, secondo le simulazioni di Canup, è stata tanto intensa da riuscire a “sbucciare” come un coltello l’esterno in ghiaccio del satellite, lasciando intatto il nucleo, che ha proseguito nella sua traiettoria verso il pianeta. Stando sempre alle simulazioni, la quantità di detriti in ghiaccio persi in questo modo da un corpo grande come Titano è sufficiente a formare un sistema di anelli persino più esteso rispetto a quello attuale, che poi si è ridotto a poco a poco nel tempo con l’espulsione di parte dei detriti.
a) Il satellite nella sua traiettoria si avvicina a Saturno e dopo aver passato il limite di Roche inizia a perdere lo strato di ghiaccio a causa delle forze di marea che si sviluppano. b) Il nucleo di silicati rimane intatto e infine va a impattare sul pianeta, lasciando dietro di sé la scia di detriti di ghiaccio che formeranno gli anelli. (Cortesia: Nature)
Così in un colpo solo Canup è riuscita a spiegare l’assenza attorno a Saturno di altri grandi satelliti oltre a Titano, tutti precipitati sul pianeta, e l’alta percentuale di ghiaccio negli anelli. Proseguendo nel ragionamento si conclude che il sistema di piccole lune che possiede ora Saturno (se ne stimano ben 200) si è formato dopo la nascita degli anelli, quando la nube di gas si era quasi del tutto dissipata.
Il modello di Canup non è ancora una certezza. Ma di sicuro finora è il più coerente punto di partenza per spiegare il fenomeno e per questo è stato accolto con favore dalla comunità scientifica. “E’ un lavoro impressionante”, commenta il planetologo Joseph Burns, del Dipartimento di Astronomia della Cornell University. E aggiunge: “E’ una spiegazione più globale rispetto alle teorie precedenti e in accordo con le osservazioni della sonda Cassini. Ci parla di una storia divertente e convincente”. Ora si cercheranno conferme anche in altri pianeti al di fuori del Sistema Solare. Lo scopo è estendere le nostre conoscenze sulle dinamiche dei corpi celesti. Un giorno potrebbero anche tornare utili.