Come può esistere l’inferno se Dio è misericordioso?

Creato il 13 aprile 2014 da Uccronline

Com’è possibile la compatibilità tra un Dio buono e misericordioso come quello cristiano con l’esistenza dell’inferno e della dannazione eterna? La domanda è seria e la risposta, prettamente teologica, deve partire innanzitutto -come sempre-, capendo cosa davvero insegna la Chiesa cattolica, senza pensare di sapere quel che in realtà non si conosce.

Nel 1999 durante un Udienza generale, Giovanni Paolo II ne ha parlato in termini molto chiari. «Dio è Padre infinitamente buono e misericordioso. Ma l’uomo, chiamato a rispondergli nella libertà, può purtroppo scegliere di respingere definitivamente il suo amore e il suo perdono, sottraendosi così per sempre alla comunione gioiosa con lui. Proprio questa tragica situazione è additata dalla dottrina cristiana quando parla di dannazione o inferno. Non si tratta di un castigo di Dio inflitto dall’esterno, ma dello sviluppo di premesse già poste dall’uomo in questa vita». L’uomo si auto-esclude dalla relazione con Dio e Dio, che non costringe mai la libertà dell’uomo, lo terrà lontano da sé per l’eternità anche se fino all’ultimo cercherà di tendergli la mano. «L’inferno è la situazione in cui definitivamente si colloca chi respinge la misericordia del Padre anche nell’ultimo istante della sua vita», ha continuato Papa Wojtyla.

Il linguaggio usato dall’Antico e Nuovo Testamento, compresa l’Apocalisse, per descriverlo (un luogo di tenebre, una fossa, la Geenna dal “fuoco inestinguibile”, che poi era la discarica di Gerusalemme ecc.) è «un linguaggio simbolico» e «le immagini con cui la Sacra Scrittura ci presenta l’inferno devono essere rettamente interpretate». «Esse», ha proseguito Giovanni Paolo II, «indicano la completa frustrazione e vacuità di una vita senza Dio. L’inferno sta ad indicare più che un luogo, la situazione in cui viene a trovarsi chi liberamente e definitivamente si allontana da Dio, sorgente di vita e di gioia». Una auto-esclusione dalla comunione con Dio, come spiega anche il Catechismo: «Morire in peccato mortale senza essersene pentiti e senza accogliere l’amore misericordioso di Dio, significa rimanere separati per sempre da lui per una nostra libera scelta. Ed è questo stato di definitiva auto-esclusione dalla comunione con Dio e con i beati che viene designato con la parola “inferno”».

Anche Enzo Bianchi, recentemente, ha spiegato che «noi siamo portati a immaginare l’inferno come luogo, ma esso è un “non-luogo”, un “non-essere”, un “non-tempo”, è il nulla di una morte eterna. Dio vuole che tutti siano salvati, suo Figlio Gesù è venuto nel mondo per i peccatori, non per i giusti (Mc 2,17 e par.; 1Tm 1,15): ma di fronte al bene o al male l’uomo, seppure in una condizione di fragilità propria della sua natura, resta sempre libero di aderire all’uno e rifiutare l’altro, almeno con il desiderio e la volontà». Il priore di Bose ha poi aggiunto che anche Gesù «per condannare il male in modo chiaro e indicare che l’uomo può scegliere vie mortifere, ricorre a immagini diverse, tratte sia dalle Scritture sia dalla sua contemporaneità». D’altra parte, «queste immagini sono crudeli, ma come descrivere altrimenti l’esito di una via che ha scelto la morte, la violenza, la prepotenza e non ha mai riconosciuto la vita dell’altro, non ha mai avuto discernimento del povero e del bisognoso, non ha mai riconosciuto la fraternità umana? Certo, queste sono solo immagini, ma ci dicono che noi possiamo scegliere non la vita e la comunione con Dio, ma la morte eterna e la separazione da Dio! L’inferno dunque non indica un luogo ma una situazione in cui potranno cadere coloro che liberamente e definitivamente hanno scelto tutto ciò che è contrario alla volontà di Dio e, di conseguenza, anche a ogni cammino di umanizzazione». Rispetto alla presenza reale delle fiamme, si può approfondire con la riflessione di padre Angelo Bellon.

Papa Giovanni Paolo II ha aggiunto anche che «la ‘dannazione’ non va perciò attribuita all’iniziativa di Dio poiché nel suo amore misericordioso egli non può volere che la salvezza degli esseri da lui creati. In realtà è la creatura che si chiude al suo amore. La “dannazione” consiste proprio nella definitiva lontananza da Dio liberamente scelta dall’uomo e confermata con la morte che sigilla per sempre quell’opzione. La sentenza di Dio ratifica questo stato». E «il pensiero dell’inferno – tanto meno l’utilizzazione impropria delle immagini bibliche – non deve creare psicosi o angoscia, ma rappresenta un necessario e salutare monito alla libertà». Anche Enzo Bianchi ha riconosciuto che «l’inferno è rimosso soprattutto come reazione a un insegnamento che lo affermava per intimorire e minacciare, credendo in tal modo di poter dissuadere il popolo cristiano dal peccare». Invece, «le parole delle Scritture sull’inferno, dobbiamo innanzitutto vederle come una chiamata alla responsabilità, mediante la quale esercitare la nostra libertà in vista del nostro destino».

Pensare ad un Dio cattivo a causa dell’esistenza dell’inferno significa ritenere che per noi ci sia una salvezza automatica, qualunque cosa facciamo, qualunque vita viviamo. Ed invece non è così, anche perché l’inferno noi lo creiamo qui sulla terra, diventando sovente noi “inferno” per gli altri. Edith Stein nell’inferno di Auschwitz nel 1942 scriveva: «Appartiene a ciascuno decidere del proprio destino. Dio stesso si ferma davanti al mistero della libertà di ogni persona». Per questo, ha concluso Enzo Bianchi, «non è conforme alla fede cristiana affermare che non c’è l’inferno o che l’inferno è vuoto». Sostenerlo è un’azione dannosa per la fede, come ha spiegato anche padre Giovanni Cavalcoli.

L’esistenza dell’inferno dunque, come abbiamo visto, non contraddice affatto la bontà e la misericordia di Dio. E’ comunque importante che noi cristiani siamo chiamati sopratutto a ricordare la misericordia di Dio, sperando e pregando per tutti, anche per i nemici e i peggiori criminali, affinché conservino una scintilla di libertà e umanità capace di accogliere, almeno, l’ultima chiamata di Dio.

La redazione


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