Raggiungo il confine del Sultanato del Brunei con una barba che avrebbe fatto invidia a qualsiasi musulmano. Alla dogana una donna troppo seria per una nazione così piccola mi accoglie con sguardo impassibile da sotto il suo cappuccio ufficiale. Esamina il passaporto, e poi esamina me. Esamina la foto che mostra un ragazzo ancora semi-rispettabile, e poi esamina la mia faccia con fare inquisitorio. Si chiede se mi sono dato al narcotraffico. Si ricorda che il narcotraffico è un’attività remunerativa. Mi guarda ancora. Non sembro uno che remunera. Mi fa un cenno di approvazione.
Durante la lenta procedura vengo distratto da un cartello appeso al muro, oltre la linea che separa il Sarawak malesiano da questa nuova micronazione: “In Brunei è vietato l’alcol”. In un momento di perplessità, vengo riportato alla realtà dal battere improvviso dello stampo sul mio passaporto. “Neeeeext” grida l’ufficiale. Passo avanti, e con altrettanta ufficialità sono con entrambi i piedi in Brunei. Nel guardare il passaporto con la fierezza di chi ha appena collezionato un nuovo stampo noto che il visto gratuito concessomi mi permette di soggiornare sul territorio di Vostra Eminenza il Magnifico Supremo Sultano per ben novanta giorni consecutivi. 90 giorni? Chi vuole stare per novanta giorni in un paese senza alcol? Cercando di capire come mi fossi meritato tale punizione, decido di mettermi alla scoperta del paese in cui l’impronta islamica è la più pesante di tutto il sud-est asiatico. Per tre giorni. Tre giorni sono abbastanza. Calma. Oltre il confine c’è il Duty Free.
"90 giorni? Chi vuole stare per novanta giorni in un paese senza alcol?"Questo Sultano è un gran personaggio, e questo lo si evince a primo impatto. Anzi, prima del primo impatto. Al cambio dei soldi mi trovo tra le mani una decina di banconote. Sono tutte di differenti misure. Di differente valore. Di differente colore. L’unica cosa che le accomuna, se non il non poterle utilizzare per comprare delle birre, è la raffigurazione di un uomo dal baffo valoroso con gli occhi puntati a quello che mi immagino sia l’orizzonte, ma che più probabilmente è una montagna di lingotti d’oro. Il Sultano è su tutte le banconote, su tutte le monete, e una sua foto ti tiene compagnia in ogni locale pubblico.
Arrivo nell’impronunciabile capitale che per comodità e brevezza di memoria viene chiamata Bandar, e oltre all’ordine singaporeano che mantiene le strade tanto vivibili quanto noiose, quello che trovo è, a sorpresa, una boccata d’aria fresca. Il Brunei mi piace. E chi l’avrebbe mai detto per un posto che fino a ieri non sapevo dove fosse, e ora che lo so ancora non ho capito perché è lì. Non è soltanto la moschea centrale di Omar Ali Saifuddien con la sua cupola lucente, né, più in generale, tutta l’archittettura islamica che finalmente distingue questo luogo in modo netto dal resto dell’Asia meridionale a rendere il Brunei un luogo piacevole, ma è più il fatto che qui non censurano il mio blog come in Malesia. E posso tornare a rispondere a tutti i vostri commenti. Tutti e due.
"Insomma se in Brunei devi andare all’ospedale è gratis, offre il Sultano. E con questo è tutto chiaro. Cioè se io ti dovessi pagare le cure mediche col cazzo che ti farei bere o fumare"In questa atmosfera un po’ aladinica, vago per le strade incuriosito dal fare della gente, chiedendomi come passa il tempo un popolo a cui non solo è vietato bere, ma anche comprare sigarette, svestirsi in modo appropriato per i quarantadue gradi all’ombra che non accennano a calare, mangiare maiale e masticare una gomma. E insieme a me se lo chiede anche Lorenzo, che nella ricerca di un pacchetto di sigarette ha trovato la sua missione. Finché, di soppiatto, non si avvicina un uomo scuro, poco profumato, che stringendo i denti ci dice “Cigarettes?”. Con fare losco aggiriamo un angolo e in sette secondi avviene lo scambio. Ci sentiamo un po’ Johnny Depp in Blow per aver appena preso parte al racket delle sigarette di contrabbando, ed è proprio con questo entusiasmo che cominciamo le ricerche per la stesura di una versione di Gomorra ambientata in Borneo. Cercando di capire l’entità del pericolosissimo giro in cui siamo coinvolti, viene alla luce l’informazione che chiarisce ogni cosa.
Scopro che il Sultano, il Grandissimo, l’Onnipresente, Sir Hassanal Bolkiah, è uno degli uomini più ricchi del mondo. Arricchitosi grazie ai giacimenti di petrolio presenti sul territorio, il 29esimo Sultano del Brunei ha tra le mani un paese che seppure un tempo fu una grande potenza che dominava il Borneo, oggi vanta una popolazione di circa 300.000 abitanti. Nel tentativo di trasformare ciò che è rimasto di un antico impero in uno dei paesi più vivibili dell’Asia, il Sultano, che è anche Primo Ministro, Ministro della Difesa e Ministro delle Finanze, si è sentito responsabile di coprire personalmente tutto il settore della sanità. Insomma se in Brunei devi andare all’ospedale è gratis, offre il Sultano. E con questo è tutto chiaro. Cioè se io ti dovessi pagare le cure mediche col cazzo che ti farei bere o fumare. Soprattutto se ho già speso 350 milioni di dollari per costruirmi un palazzo per celebrare l’indipendenza.
"Si può apprezzare di nuovo la spontaneità, la generosità di portare un dono piccolo a casa di qualcuno a cui si vuole bene. Oppure si può regalare un blocco d’oro massiccio"Con un po’ più di rispetto per il Supremo mi reco al Royal Regalia Museum, dove sono custoditi i doni provenienti dai capi di stato di tutti i paesi del mondo, o quasi. Se avete mai pensato cosa si regala a chi ha già tutto, questo è un buon luogo per chiarirsi le idee. Quando dei beni materiali non si ha più alcun bisogno perché si possiede già tutto il possedibile, il regalo riacquista davvero un valore simbolico. Si può tornare a dire che il pensiero è ciò che conta, che il valore sta nel gesto e non nell’oggetto. Si può apprezzare di nuovo la spontaneità, la generosità di portare un dono piccolo a casa di qualcuno a cui si vuole bene. Oppure si può regalare un blocco d’oro massiccio, come in questo caso. Tra i regali più umili si distinguono il set da ufficio del Principe dell’Arabia Saudita, due penne, un tagliacarte ed un righello in oro pesante (vedessi che linee dritte vengono fuori), una testa di cavallo in pietra a dimensioni naturali dall’Associazione di Polo del Pakistan, e una coppa d’oro dalla dubbia utilità dal Raja della Thailandia. Per il mio compleanno a me hanno regalato dei calzini.
La notte il Brunei si addormenta. E uno dice vabbè di notte che vuoi fare. Il fatto è che la notte qui inizia alle sei di pomeriggio. Le strade si liberano, il silenzio cala. I pochi stranieri ronzano intorno al Coffee Bean Café attratti dalle invisibili onde del Wi-Fi. Alcuni locali cercano di inebriarsi con grandi boccali di tè. Alcuni cercano di fare afterhour aggiungendo del latte. E il Sultano, dall’alto della sua collina, ammira sorridente la sua terra, cosciente del rispetto del suo popolo, sapendo che un altro giorno si è concluso, e il petrolio non è ancora finito.