Molti di noi non sono malati in modo specifico, ma soffrono di persistenti disagi e disturbi di cui non riescono a venire a capo: senza saperlo sono intolleranti a uno o più cibi tra quelli che quotidianamente trovano in tavola.
Alcuni accusano questi disturbi per anni provando molte cure senza accorgersi che tutto può dipendere da un certo alimento che il loro corpo…non tollera!
Molti sintomi, una sola causa: i cibi sbagliati
Stanchezza cronica, cefalea, asma, dermatiti, sovrappeso e cellulite possono essere sintomi di una reazione dell’organismo ad alimenti presenti normalmente nella dieta: cibi comuni, insospettabili, ma che costituiscono uno stimolo tossico capace di dare luogo a vari e numerosi disturbi. Si deve agli studi di Theron Randolph, un medico americano, la scoperta del collegamento tra sintomi sia fisici che psichici ad alimenti e sostanze ipersensibilizzanti in pazienti che lamentavano disturbi vari ricorrenti.
Che cosa sono le intolleranze alimentari?
Sono fenomeni che si manifestano con fastidi, disturbi o veri e propri sintomi quando mangiamo determinati alimenti e sostanze.
Intolleranze e allergie: dov’è la differenza?
- Le allergie a particolari sostanze si manifestano in modo evidente dopo alcuni minuti dal contatto o dall’assunzione, e possono provocare sintomi anche molto gravi (talora addirittura letali) come lo schock anafilattico.
- Le intolleranze alimentari possono essere definite allergie “ritardate” o “nascoste”, perché si manifestano in modo più subdolo, e fino a pochi anni fa i sintomi erano attribuiti ad altre cause e non agli alimenti.
Quali sono le cause?
Le ipersensibilità e intolleranze alimentari possono essere genetiche o acquisite.
- Quelle genetiche sono dovute a una predisposizione biochimica di base presente nei geni.
- Quelle acquisite compaiono gradualmente o improvvisamente nel corso degli anni, in concomitanza di stress psicologici, malattie, diete squilibrate, abuso di alimenti o di sostanze varie tra le quali i farmaci, a causa dell’indebolimento del sistema immunitario.
- In caso di intolleranza, gli alimenti sono solo parzialmente digeriti e possono fermentare, alterando così la flora intestinale. Qualsiasi alimento assunto frequentemente può risultare intollerato, soprattutto dopo un periodo particolarmente stressante.
- Gli alimenti che più scatenano intolleranza per consumo frequente sono: solanacee (pomodori, melanzane, peperoni e patate), grano (contenuto in farine, pane, biscotti, crackers, ecc.), latte, formaggi, uova, lievito, cioccolato, caffè.
Dopo quanto tempo si presentano i sintomi?
Il tempo è molto variabile: si va dai 20 a 30 minuti dopo il pasto ai 5 giorni.
Come riconoscere l’intolleranza
Soffri di stanchezza, ansia o depressione immotivate? Prendi peso anche se mangi poco? Possono essere i segnali di un’intolleranza. Qui di seguito i sintomi più comuni per riconoscere un’intolleranza alimentare.
- stanchezza fisica e mentale
- depressione
- ansia
- sonnolenza
- mal di testa
- disturbi del sonno
- vertigini e ronzii
- tachicardia e aritmie
- nausea e vomito
- stitichezza e/o diarrea
- coliti
- afte e stomatiti
- cistiti ricorrenti
- arrossamenti cutanei
- infezioni ricorrenti
- dolori muscolari e articolari
- rigonfiamenti ed edemi
- ritenzione idrica
- cellulite
- sovrappeso e obesità
I test per capire se sei intollerante
Come capire con sicurezza se siamo intolleranti ad un certo cibo? Ci sono dei test:
- Test kinesiologico. Si basa sui principi della kinesiologia secondo cui, se teniamo in mano un cibo o una sostanza che ci disturba, la nostra forza muscolare diminuisce. Il calo di energia è valutato esaminando la muscolatura della mano o del braccio della persona sottoposta al test. Essendo un test di valutazione soggettiva, dipende molto dall’esperienza e dalla capacità dell’operatore.
- D.R.I.A. test. Utilizza lo stesso principio del test kinesiologico, ma la rilevazione della forza muscolare viene fatta attraverso un apposito apparecchio. Può durare anche più di due ore e può essere influenzato dalla stanchezza della persona che vi si sottopone.
1) Test bioelettrici (Vega, Moral). Con appositi apparecchi si misura la resistenza della cute al passaggio di uno stimolo elettrico, dopo aver posto piccole quantità di cibo tra persona e strumento. Non è attendibile al 100%.
2) Test citotossico. Viene effettuato con un prelievo del sangue. Consiste nel porre a contatto il siero e i leucociti del paziente con gli estratti alimentari. I risultati vengono quindi quantificati su una scala che va da uno a quattro, a seconda della gravità della reazione. È abbastanza attendibile, l’operatore non lo influenza.
3) Test ELISA. È praticato sul sangue, e valuta la reazione delle immunoglobuline IGG a contatto degli allergeni degli alimenti sospetti. Presenta una buona affidabilità. Il risultato cambia quando si è abolito il cibo “no”.
Quattro mosse per reagire
1. Eliminare gli alimenti che scatenano i vari sintomi per un periodo di 4-6 mesi secondo il grado di gravità dell’intolleranza.
2. Dopo il periodo di sospensione, si reintroducono gli alimenti “incriminati” uno alla volta, con un’attesa di almeno 5 giorni uno dall’altro, osservando se compaiono disturbi nuovi o già lamentati in precedenza.
3. Se tale evenienza si verifica, è probabile che l’ipersensibilità sia di origine genetica e in tal caso gli alimenti devono essere eliminati per sempre. Se non si presentano sintomi, significa che il sistema immunitario si è riequilibrato e i cibi possono essere reintrodotti.
4. I primi risultati positivi, si riscontrano già dopo i primi 3 giorni dall’eliminazione del cibo killer; per risultati più stabili sono necessari 15 giorni. Se si è in sovrappeso si può perdere peso per la perdita di liquidi dovuta alla scomparsa della ritenzione o del gonfiore e della fame.
I sintomi psicologici
Dopo la sospensione dei cibi sospetti si possono manifestare depressione, irritabilità, insonnia, stitichezza o diarrea. Questi sintomi, temporanei, rivelano che ci si sta disintossicando.
Attenzione al latte
Un italiano su tre è intollerante al latte. Il sintomo è spesso la diarrea. Sotto accusa il lattosio, zucchero che si trova nel latte e nei derivati, o la caseina, la proteina del latte. Per digerire gli zuccheri del latte, serve un enzima (lattasi), che è secreto dall’intestino tenue e compare in quantità minima negli intolleranti. Oltre a motivi genetici, l’intolleranza al latte può essere indotta dall’eliminazione del latte dalla dieta: chi smette di bere latte produce meno lattasi e diventa intollerante.
La soluzione. Bere latte “ad alta digeribilità” (con meno lattosio) o bere latte di soia o riso. Nei casi in cui, come in menopausa, si ha più bisogno di calcio, consumare prezzemolo e semi di sesamo, ricchi di calcio biodisponibile.
Vai piano col frumento
La celiachia è una malattia simile a un’allergia che si manifesta generalmente nei primi anni di vita con una reazione del sistema immunitario all’ingestione del glutine (si trova in frumento, anche farro e kamut, orzo, avena e segale, lievito di birra, caffè d’orzo, birra, whisky); questa sostanza viene eliminata con le feci causando alterazioni della mucosa intestinale e riducendo l’assorbimento dei principi nutritivi.
I sintomi sono: diarrea, gonfiori addominali, dimagrimento.
Cosa fare. Eliminare i cibi con glutine. Invece del pane, sono ammesse gallette di riso e sesamo.
FONTE: Riza
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