- Com’eri? – gli chiese lei.
- Com’ero quando? – replicò lui guardando la collina che si stendeva sotto i loro piedi. Erano sul ciglio di un burrone, piedi scalzi e penzolanti nel vuoto.
- Ero uno che si credeva libero.
- Cioè?
- C’è una bella differenza sai cara, tra illudersi ed esserci davvero dentro. – lui annuiva mentre parlava e scrutava l’orizzonte, non una nuvola. Cielo terso, azzurro, cielo.
- Si, lo so. Ciascuno lo impara a suo modo.
- Non tutti. Sono sicuro che poche persone ci riescono davvero a…- fece una pausa – a capire.
- A capire questa differenza? – gli replicò mentre si toccava i capelli.
- Certe persone faticano a capire chi sta loro vicino.
- Tutti sbagliamo. Ma stai glissando l’argomento. Com’eri?
- Ti ho risposto.
- Mi hai detto che ti credevi libero.
- Non ti è sufficiente?
- No, sono una donna.
- Già, curiosa per natura. – lui gli gettò uno sguardo di traverso e tornò a guardare l’orizzonte. Si accese una sigaretta, poi riprese a parlare:
- Pensi di poter avere il mondo in mano, ma in realtà del mondo non te ne frega molto. Se cade una bomba da qualche parte è una questione che non ti interessa. Se muore un tuo vecchio parente che non vedevi da tempo e passa qualche mese, dimentichi che quel parente è morto e distrattamente pensi che possa essere lui al telefono. Hai uno smagliante aspetto fisico, ma un capello è fuori posto, il resto è tutto artificio. È artificioso ogni tuo sorriso. Lo stomaco si chiude. Fai fatica a respirare. Per gli altri diventi addirittura un mito. Riesci persino a far felice qualcuno. Ma tutto quello che volevi e di cui ti eri dimenticato…era di far felice te stesso. Ecco, come si muore. Lentamente, credendo di vivere, e invece sopravvivi. Respiri a stento.
- Insomma eri innamorato. – gli disse lei.
- Cosa ti fa pensare che lo fossi?
- Lo stomaco. Non è una questione di testa, o di cuore. È una questione di stomaco. È lì che l’amore nidifica, prendendo il posto del bolo.
- Vedo l’esofago rosa volar – canticchiò lui.
- Dai, non farmi ridere, sto cercando di concentrarmi su quello che dici, sono seria.
- Non ero innamorato. Ero perduto. È diverso. Ero morto.
- Come ne sei uscito? Grazie a me?
- Mi piacerebbe dirtelo, ma mentirei. Probabilmente ne sono uscito per pura fortuna, o destino, o caso. Chiamalo come ti pare.
- O per istinto di sopravvivenza.
- L’istinto, in quei momenti, ti dice che puoi solo morire. La vita è una lotta contro l’istinto suicida.
Lei non parlò più. Anche lui. Per un pezzo si fece un gran silenzio. In lontananza potevano sentire l’eco dei clacson di qualche automobile. Più su alle loro spalle, il nitrito di un cavallo nel bosco.
- E ora?
- Ora?
- Ora come stai?
- Ho imparato a vivere.
- Dimmi come ci sei riuscito. Dimmi come si fa a vivere.
- Puoi solo imparare, non c’è modo di insegnarlo.
Lei lo abbracciò.
- Avrei voglia di dirti un sacco di cose, sai. Avrei voglia di capire fino in fondo. Avrei voglia di esserci stata mentre tu stavi così. – gli disse in un orecchio.
Lui la baciò e poi le disse:
- Non dire niente, è tardi per parlare. Ora dovremmo solo aspettare che si faccia notte.
- Perché hai intenzione di passare la notte qui?
Lui sorrise:
- È la notte che ha intenzione di passare di qui, aspetteremo l’alba.
Venne la notte e venne l’alba. Attesero insieme.