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Come sono diventato Project Manager mentre ero impegnato a fare altro ( 2° parte)

Creato il 15 gennaio 2016 da Espm2014

Tornando alla domanda iniziale, che da  il titolo al pezzo, anche tu come me sei diventato un Project Manager mentre eri impegnato a fare altro?

Ecco la mia storia, che parte quasi 15 anni fa nel contesto, allora travagliato, delle ex aziende multiservizio. In quel periodo facevo il consulente di marketing strategico, ovvero ero un analista che studiava nuove opportunità di business e ne pensava l’attuazione, non avevo specifiche skill di project management. Fui assunto da una realtà del territorio mia cliente, per aiutare a gestire il delicato passaggio culturale noto allora con il motto “da utente a cliente”.

Questo fase di evoluzione del settore derivava anche da una serie di passaggi normativi, tra cui la Legge Galli per il settore idrico e il Decreto Letta per quello del gas naturale, che riconfiguravano pesantemente un ambito che era rimasto pressoché immobile per decine di anni. Occorrevano nuove risorse culturali. La scelta dell’allora mio Direttore Generale di acquisire risorse con nuove competenze tecniche dall’esterno si rivelò vincente anche se si prefigurava un percorso molto difficile di change management in azienda.

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Da subito mi resi conto che il mio lavoro era quello di gestire progetti innovativi che dovevano trasformare l’azienda. Mi vennero assegnati quindi svariati progetti, principalmente di natura organizzativa e strategica, che avevano l’obiettivo di riconfigurare le attività esistenti o di inserire nuovi servizi pensati con l’approccio del marketing. Della prima tipologia fu ad esempio il progetto volto alla separazione dei servizi di distribuzione e vendita del gas, che dovevano per legge essere divisi sul piano societario, della seconda tipologia progetti, quali la strutturazione di nuovi servizi, mai gestiti prima, come farmacie o parcheggi.

Questo oggi lo chiameremmo Project Management di processo o di riorganizzazione, un filone credo sempre più importante, che applica le tecniche del PM alla modifica e revisione dell’organizzazione e delle procedure aziendali. Comprendendo che erano necessari skill specifici, che non possedevo in maniera sistematica, il mio capo di allora mi chiese nel 2003 di ottenere la certificazione PMP° del Project Management Institute (PMI). Il suo obiettivo era anche quello di dare, attraverso questa certificazione, una investitura formale al mio ruolo, dentro e soprattutto fuori dall’azienda.

Il mio biglietto da visita avrebbe parlato agli stakeholders di una precisa competenza in materia di PM. E così fu. Dopo la certificazione, in qualche modo la mia vita lavorativa cambiò, sapevo quali erano le buone regole gestionali di un progetto e di una organizzazione orientata al risultato ma vivevo la frustrazione di vedere come il mio contesto lavorativo non era in grado di recepirle. Ho cercato di usare al meglio gli strumenti appresi ed oggi posso dire che mi sono “aggrappato” in particolare a 4 comprensioni, che mi hanno guidato nel soddisfacente seppur difficile lavoro:

1) E’ fondamentale gestire strategicamente gli stakeholders, soprattutto in ambito pubblico è essenziale capire e prevenire chi può ostacolare il progetto;

2) Mettere al primo posto la definizione e la condivisione dei requirements e dei bisogni che deve soddisfare il progetto, aspetto già insito nella cultura di marketing da cui provenivo. È facile perdere di vista le caratteristiche essenziali del risultato in un contesto mutevole;

3) Dimensionare sempre attentamente le risorse umane vedendo quale è la reale disponibilità al di là di quanto dichiara il responsabile funzionale. I progetti spesso erano svolti senza che fosse chiaro a priori il reale fabbisogno complessivo di ore di lavoro e di quelle effettivamente erogabili dalle aree funzionali;

4) Vedere l’insieme dei progetti come un disegno complessivo che nasce dagli obiettivi dell’azienda e le cui priorità sono declinabili in una logica contemporaneamente di program e di portfolio management dei progetti, ciò che è utile all’azienda va definito con criteri logici e di priorità, non in base ai giochi di potere.

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Da questa esperienza e da altre maturate negli anni ho compreso che oggi è sempre più importante una formazione individuale in PM, anche in contesti atipici o in funzioni che non avrebbero tradizionalmente una vocazione di progetto, inoltre credo che la cultura di project management, in particolare quando si lavora nella riorganizzazione, dovrebbe essere distribuita tra il maggior numero possibile di persone in azienda, laddove differenti culture e abitudini lavorative seriamente minare il successo del progetto.

Jgor Giuseppe Cardinale


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