Magazine Diario personale

Come tutto ebbe inizio - parte quarta

Da Romina @CodicediHodgkin
mercoledì, 30 marzo 2011

Come tutto ebbe inizio - parte quarta

Avevo interrotto il mio racconto al mio ultimo giorno in terapia intesiva, quando mi venne comunicato che con le biopsie non era stato raccolto sufficiente materiale e che, quindi, avrebbero dovuto trasferirmi in chirurgia toracica per sottopormi ad una mediastinoscopia.
Inutile dire che non ero assolutamente entusiasta all'idea di dover subire un intervento, per quanto non particolarmente drammatico.
Una pomeriggio, quindi, raccattai tutte le mie cose dalla stanza (che in 7 giorni di ricovero erano diventate davvero parecchie) e, mamma al seguito, me ne andai al 4° piano, in chirurgia toracica.
Il tempo era veramente brutto. Avete presente quelle giornate di fine estate in cui l'autunno manda un regalino per ricordarci che arriverà presto, in cui il cielo si fa scuro e inizia a tirare un forte vento, preludio di temporale?
Il mio arrivo in chirurgia fu una scena da film horror. Che trauma.
Corridoio buio, decine di quadri a soggetto sacro appesi alle pareti (a molti daranno pure sicurezza, ma a me le immagine sacre ispirano un filo d'angoscia), urla provenienti da una delle stanze (seppi più tardi che ad urlare era un uomo cui avevano appena asportato un cancro al polmone), pioggia scrosciante con tanto di tuoni e fulmini...insomma, un benvenuto decisamente inquietante.
Io ero decisamente troppo traumatizzata per sopportare tutto questo. Passi il cancro, ma tuoni, fulmini, saette, grida e buio erano veramente troppo per il mio sistema nervoso. Iniziai a piangere come una fontana, a battere i denti. No, no, no, mamma, io qui  non ci voglio stare, riporatemi in terapia intensiva!
Entrai nella mia nuova stanza in condizioni pietose. Mi sentivo una bambina di 5 anni che non vuole andare all'asilo perchè ha paura di rimanere sola. Non riuscivo a smettere di piangere mentre mamma cercava di convincermi che  non era così male, in fondo, la chirurgia...
Non riuscivo a smettere di piangere, nonostante l'opera di convincimento di mia madre. Seppe fare di meglio l'infermiera che mi rifilò alcune gocce di tranquillante.
Non volevo che mia madre andasse via, non volevo rimanere da sola in quel posto che mi ispirava molta meno sicurezza della terapia intensiva.
L'inevitabile, comunque, avvenne e mia madre dovette andar via. Cercai di smettere di frignare e mi guardai intorno. Dividevo la stanza con altre due donne. Una era un'anziana signora che doveva operarsi di ernia inguinale, l'altra era una delle persone più forti e più belle che mi è capitato di incontrare nel mio percorso. E'stata la mia guida e il mio faro in quei giorni e penso che le parole non potranno MAI esprimere la gratitudine che provo per lei.
O. era una donna di una quarantina d'anni che tre anni prima aveva avuto un cancro al seno e che ora era lì per togliere utero e ovaie.
E'stato grazie a lei che ho capito che nessuno può aiutare un malato di cancro come un ex malato. A lei potevo fare tutte le domande che non potevo porre ai medici. Mi rassicurò molto. Con me è stata materna, gentile, un supporto incredibile. A volte si incontrano per caso delle persone che, pur interagendo con noi per un tempo limitato, hanno  sulle nostre vite un impatto e un'influenza sconvolgenti. O. per me è stata, come dire, una mentore. Colei che mi ha fatto strada nel mirabolante mondo del cancro.
L'altra signora, E., di 74 anni, fu ancora diversa. Non aveva nessuno al mondo, nessuno che la andasse a trovare. Mi trattava un pò come una nipotina. La sera, addirittura mi rimboccava le coperte e mi dava un bacio in fronte. Che tenera. E' un peccato che una persona così gentile fosse anche così sola. Non aveva fratelli, nè un marito, nè figli.
La mia prima notte in chirurgia trascorse praticamente in bianco. Dato che non ero più sola in stanza, non potevo leggere fino a tardi perchè non potevo certo tenere la luce accessa. E così rimasi sveglia praticamente tutta la notte, con il solo conforto delle mie tavolette di cioccolato...ah, se non ci fossero state le mini-tavolette miste di cioccolata...
La mattina seguente, rischiai l'infarto.
Come vi ho raccontato, in terapia intensiva passava solo un medico per le visite. La volta che entrarono tutti e due fecero la biopsia midollare, così, a tradimento. Per la poca esperienza che avevo, quando i medici venivano a coppia non era assolutamente buon segno.
Quella mattina entrarono in sei. SEI. Ecco qui, mi dissi, se in due ti fanno una biopsia, in sei ti sopprimono...porca paletta, non la facevo così grave, la situazione!
Mi ci volle poco per scoprire, in realtà, quello della chirurgia è un mondo a parte. Se in terapia intensiva i dottori si fanno dare del tu e non smuovono tutto il personale per le visite mattutine, in chirurgia le cose funzionano all'opposto: entrava l'intera squadra, tutti in fila indiana e in rigoroso ordine gerarchico.  Primario capofila, erede al trono, erede dell'erede e così via fino al praticante. Non dimentichiamo le due infermiere a chiudere la fila.
Di me, a quanto pareva, si sarebbe occupato l'erede al trono. E che erede...diciamoci la verità, se le amiche mi venivano a trovare, non era certo perchè mi volevano bene....
Mi adattai presto anche alla chirurgia. Mi feci comprare una luce da libro. Una sorta di caschetto da minatore con un piccolo faretto sulla fronte che mi consentiva di leggere tutta la notte, se lo desideravo.
Le mattinate in chirurgia iniziavano all'alba, quando, prima delle 7:00, la suorina si metteva in cima al corridoio e iniziava a gridare il rosario, tanto per esser certa che tutto il reparto, volente o nolente, la sentisse. Confesso che questo comportamento non mi piaceva molto ma, tant'è.
La cosa, però, che mi disturbava di più erano i bagni. Anzi, il bagno. Non solo c'era un unico bagno per uomini e donne, ma era anche fuori dal reparto, dove andavano anche i pazienti che venivano per semplici visite di controllo. Una cosa sconvolgente. Preferisco non commentare oltre. Tre anni dopo venni nuovamente ricoverata e operata. Con mia somma soddisfazione il reparto era stato rimesso completamente a nuovo ed era tutta un'altra cosa...
In chirurgia ero molto più libera. Gli orari erano meno rigidi e quindi potevo rimanere più tempo in stanza con la mia famiglia. Soprattutto, potevo vedere più di una persona alla volta. Durante il giorno, poi, non essendo sola in stanza, potevo sempre farmi una chiacchierata con la splendida O.
Il top del mio ricovero, comunque, era il fatto che i miei nonni (che abitavano con noi ma che in quel periodo erano in vacanza con mio zio in montagna) non sapevano nulla. Avevamo deciso di non dirgli niente finchè le cose non fossero state più chiare anche per noi. Riuscimmo a convincerli a prolungare il loro soggiorno dagli zii. Mamma mi negava continuamente al telefono con scuse del tipo "è fuori con il fidanzato" o "sta studiando a casa di un'amica". Dato che con i nonni ho sempre avuto un rapporto stretto, nonna provava comunque a chiamarmi al cellulare per sentire come stavo. Quando parlavo con lei, la mia recitazione era da Oscar. "Si, nonna, tutto ok, sono a casa di un'amica, stiamo studiando!". Non sapete che paura avevo che partisse il classico segnale acustico dall'interfono del reparto seguito da un messaggio tipo "Il dottor Pinco Pallino è desiderato in medicheria". Per fortuna non accadde mai e io ebbi tutto il tempo di preparare nel dettaglio il momento in cui avrei detto ai nonni che ero malata.
Una bella mattina, venni informata che, per  motivi non meglio specificati, il mio intervento era rimandato di 4 giorni. Divenni una furia. Rimandato? Come sarebbe a dire che non avete lo strumentario adatto? E che me frega a me se usando quello che avete dovreste aprirmi come una cozza, per quanto mi riguarda potete anche avvalervi di un pit bull, l'importante è che mi apriate e operiate subito!
Il Dott. Paul Newman si esibì nei suoi più classici sorrisi piacioni e cercò di rabbonirmi. Dato che, sorriso piacione o meno (che comunque un minimo ci stava bene), la realtà dei fatti non cambiava, mi rassegnai al prolungamento del mio soggiorno.
Devo dire che di personaggi bizzarri ce ne erano parecchi, da quelle parti. Nella stanza accanto c'era una signora ultrasettantenne che io e O. avevamo ribattezzato Madama Butterfly a causa del suo abbigliamento un tantino particolare. Se, infatti, io mi aggiravo con pigiami improponibili decorati di ogni sorta di imbarazzante pupazzetto (il meglio che mia madre ha saputo fare alla richiesta "comprami qualche pigiama serio"), Madama Butterfly volteggiava per i corridoi con una serie di sottane scollatissime e di vestaglie di broccato a balze veramente tremende. Le cuciva lei stessa. Dal punto di vista scenico erano favolose (lei lavorava per il teatro) ma indossate in ospedale era forse un pò eccessivo. Diciamo che le scollature erano un pò imbarazzanti, era praticamente nuda. E non dimentichiamo i perizomi lasciati in bella mostra in giro per la stanza per far colpo sul Dott. Paul Newman...
I medici mi rassicuravano. Il linfoma è come neve al sole, lo chiamano così perchè si scioglie facilmente proprio come la neve al sole, e poi più nessun problema. Non è esattamente così, se proprio vogliamo essere pignoli ma...
Sulla mediastinoscopia venni tranquillizzata: non è niente di terribile, ti faremo anche una bella sutura, vedrai non si noterà neanche, la cicatrice. Potevo forse dubitare del Dott. Paul Newman, l'erede al trono?
Certo che no, tuttavia, proprio tranquilla tranquilla non ero...ed è così che, il 5 settembre mi svegliai, "pronta e pimpante" (in realtà "spaventata e tremante") per l'intervento...ma di questo parleremo poi... 


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