Magazine Diario personale

Come tutto ebbe inizio - quinta parte

Da Romina @CodicediHodgkin
giovedì, 07 aprile 2011

Come tutto ebbe inizio - quinta parte

Lunedì 5 settembre 2005, attorno alle 9:00 venni finalmente sottoposta alla mediastinoscopia.
In stanza,  indossai il camice verde, quello che copre più o meno tutto davanti e niente dietro.
Mia madre era lì con me e, insieme alla mitica O. e ad E., cercava di incoraggiarmi in tutti i modi.
Non so di preciso come mi sentissi, sapete? Da una parte ero un pò spaventata, dall'altra volevo togliermi il pensiero per poter tornare a casa il prima possibile.
Salii sulla barella e mi portarono in sala operatoria. Le sale operatorie erano nel seminterrato, e la strada per arrivarci era vagamente inquietante. Sopra di me, soffitti scrostati e macchie di umidità. Mi lasciarono una decina di minuti ad aspettare fuori. Faceva molto freddo e mi avvolgevo al meglio nella coperta.
Mi vennero a prendere e mi portarono a fare un pò di anticamera. Fecero l'emogas, mi legarono con le cinghie al letto (quanto sarebbe più carino se lo facessero quando uno è già bello che anestetizzato? Non lo sanno che il naso prude sempre quando uno ha le mani legate?) e rimanemmo tutti lì in attesa dell'anestesista, il quale non si sapeva dove fosse andato a cacciarsi. Arrivò con calma, con tre quarti d'ora di ritardo. Tre quarti d'ora può essere un tempo infinito quando sai di avere il cancro, sei in sala operatoria  legata al letto e stai aspettando che ti operino.
Preciso una cosa: la mediastinoscopia era a puro fine diagnostico. I linfomi, tendenzialmente, non sono operabili. Possono togliere un linfonodo sul collo, magari, ma non è operabile. Non lo è perchè si tratta di una malattia sistemica. Avrebbero anche potuto aprirmi e togliere tutte le masse, ma  tanto sarebbe stato inutile perchè sarebbe sicuramente spuntato fuori qualcos'altro da qualche altra parte. E poi, a dirla tutta,  per come stavo messa sarebbe stato un intervento decisamente molto, molto invasivo.
Fatto sta che, finalmente l'anestesista arrivò. Era vagamente simile a John Lennon, occhiali a specchio compresi, solo che i suoi  erano viola. Si affaccia in sala operatoria, mi saluta e comunica che ha fatto tardi e che farà ancora più tardi perchè non ha ancora fatto colazione. Ciò detto, mi guarda e mi fa "che faccio, ti porto un cappuccino?! ahahahaha!". Ah, che simpatia. Se ne deve essere approfittato perchè ero legata. Comunque, dopo un'altra ventina di minuti torna con tutta calma e si occupa di me. Io, dato il soggetto, ero un tantino in pensiero. Mi sembrava un pò troppo figlio dei fiori per fare l'anestesista ma...tant'è, quello c'era.
Mi fa la pre-anestesia. Mamma mia. Ma siamo sicuri che quella roba sia legale? Mi prese una ridarola di quelle che lasciano senza fiato, mi sentivo in pace col mondo, molto peace and love. Spero, ma non ne sono sicura, di non aver fatto commenti imbarazzanti sull'anestesista.
Al momento dell'anestesia vera e propria, il Dott. Paul Newman mi chiese di pensare a qualcosa di bello. Pensai a una delle cose più magiche e preziose della mia vita: i miei nipotini.
Al mio risveglio, stavo abbastanza bene. Anzi, molto bene, direi, dato che avevo fame. Ricordo ancora che quel giorno, per errore, mi portarono lo stesso il pranzo...scaloppine al limone...
Ero già pronta a mangiare quando l'infermiera mi sfilò da sotto al naso la vaschetta. Mamma si sacrificò per amor mio e fece sparire il pollo...non nel senso che lo fece portare indietro, ma nel senso che se lo sbafò: era pomeriggio inoltrato e lei non mangiava nulla dalla sera prima. La sera, minestra di lenticchie. Guarda caso, la mia preferita.  Dato che ero comunque indolenzita, mi feci aiutare a mangiare, andare in bagno e lavarmi i denti. Quella notte, per la prima volta dopo tanto tempo, il mio fu un vero sonno ristoratore.
Due giorni dopo tornai a casa...ma di come andarono i giorni a cavallo tra la dimissione dall'ospedale e l'inizio della chemio ve lo racconterò la prossima volta.
Romina

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