Magazine Italiani nel Mondo

Come Ugly Betty

Da Acrossthechannel

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Circa 4 anni fa, appena dopo il mio trasferimento a Londra, scrivevo delle sfide quotidiane alle quali ero sottoposto mentre mi in(s)contravo con la nuova cultura e con l’idea, generalmente diffusa qui oltre Manica, dell’italiano medio e di tutti i cliché che vi girano attorno. Nello stesso articolo ci tenevo a chiarari i dieci punti che riporto sotto:

  1. Non mi piace il calcio
  2. Non suono il mandolino
  3. Mio padre non  è un bosso mafioso (ma non posso assicurare sui suoi antenati)
  4. Non ho una Vespa
  5. Non ho una Fiat Punto
  6. Non sono un playboy (ora rettificherei con “Non sono uno sciupa femmine. O maschi, per quel che conta”)
  7. Non conosco le canzoni di Domenico Modugno
  8. Ho vissuto da solo saltuariamente ma ho comunque lasciato il nido familiare prima dei 30!
  9. Rispetto il codice della strada e non passo mai con il rosso (all’epoca era così. Ora che con la mia bicicletta sono il re della strada, qualche semaforo rosso me lo faccio ogni tanto…)
  10. Silvio Berlusconi non parla in mio nome e se il Vaticano non stesse in Italia sarei più felice. (Al tempo SB era primo ministro d’Italia. Il Vaticano, invece, sta ancora lì e l’Italia troppo spesso la fa)

Queste erano le risposte che mi ritrovavo a dare alle principali domande dei miei nuovi colleghi dell’ufficio londinese.

Dopo tutti questi anni sono giunto alla conclusione che un undicesimo punto andrebbe aggiunto alla lista ed è ora che tutti affrontiamo la cruda realtà: 11. Non sono alla moda.

No, io e la moda solitamente non andiamo di pari passo. Non solo non posseggo un singolo capo di Armani o D&G nel mio armadio (il che significa che non devolvo 2/3 del mio stipendio in shopping), ma solitamente non indosso quegli indumenti talmente ricercati e raffinati che ti chiedi se il tizio che li indossa sia un manichino in fuga da una vetrina di Corso Napoleone o semplicemente qualcuno con più buon gusto e tempo a disposizione la mattina. Io sono più il tipo da camicia e jeans (dal lunedì al venerdì. Weekend,  felpone con cappuccio o T-Shirt). E benchè camicia e jeans su talune persone possono diventare qualcosa di davvero fico e trendy, su me sono solo…. sono solo camicia e jeans e a me va bene così!

Nel 2009, quando l’adrenalina dell’iniziare una nuova vita a oltre Manica era alle stelle, tenere alto il nome degli italiani e del loro buon gusto nel vestire (per chi ce l’ha) era pressoché semplice: avevo solo altri due colleghi connazionali in azienda, che neanche lavoravano nella mio stesso reparto. Ero solo, non c’era competizione, non c’era confronto e non c’erano paragoni. Oltrettutto, prestavo molta più attenzione a cosa indossare la mattina anzichè lasciare che i vestiti mi cascassero addosso secondo le leggi della casualità universale, probabilmente perchè volevo fare una bella impressione o perchè mi sentivo incoraggiato dai complimenti che ricevevo (notare l’uso del tempo passato). Ricordo che durante il mio primo anno, indossavo un completo (con cravatta!) ogni giorno. Poi smisi con la cravatta, ma continuai ad indossare un completo dal lunedì al giovedì (venerdì business casual). Alla fine, ho smesso del tutto con l’abitudine del completo in luogo di un paio di panatoloni e camicia. Ora ci sono delle giornate in cui andrei a lavorare in tuta e scarpe da ginnastica, e temo che quel giorno sia vicino!

Si, ai vecchi tempi tutto era più semplice. Adesso la crescita della popolazione italiana in ufficio sembra essere sfuggita di mano, il mio completo vive da tempo dimenticato nel fondo dell’armadio e il fardello del ricordare agli inglesiani che gli italiani ne sanno di più spetta a qualcun altro. Segretamente ringrazio dio per ciò, non l’ho mai voluta quella responsabilità.

Ammettiamolo però: ancora guardo a quelle figure che sembrano essere appena scese da una passerella della Settimana della Moda di Milano con ammirazione e domandandomi se potrei fare lo stesso. Il fato ha voluto che negli ultimi due anni mi sono ritrovato a condividere la scrivania esattamente con una di quelle figure.

Jacopo è un adorabile connazionale, con il quale ogni giorno condivido risate, pause, pranzi e passeggiate se capita e al quale sono grado per essere una delle poche occasione rimastemi per parlare un po’ di (buon) italiano prima che lo dimentichi del tutto. Ecco, Jacopo è una cacchio di impersonificazione di Vogue, e anche se qualcuno potrebbe dire che un bradipo ha sicuramente più buon gusto di me per cui non ho il diritto di giudicare, penso davvero che lo sia! Se io sono la prova vivente che essere gay non significa necessariamente sapere di moda, stile, arredamento e tutte quelle cazzate, Jacopo è l’evidenza che respira e cammina che a volte essere gay non è tanto cosa uno indossa, ma come. Ogni mattina, quando entra in ufficio (sempre concedendosi quei cinque minuti di ritardo così che tutta l’attenzione possa essere su di lui), si possono quasi vedere luci colorate e flash tutto intorno, si può davvero sentire una di quelle canzoni pop-dance tipo Lady Gaga che accompagna la sua passerella fino alla scrivania in un ritmo scansionato di passo-nota, passo-nota. E io mi ritrovo a pensare “Cavolo, ho la stessa giacca a casa, perchè a me non hanno dato le istruzioni per indossarla in quel modo!

Sciarpe. Parliamo di sciarpe. Non quelle di lana che nostra nonna intrecciava per noi. Intendo quelle fiche, di lino o di una qualche altra trama fina e piacevole al tatto. Ne ho un paio e le uso, ma a volte mi sembra che abbia bisogno di istruzioni anche per queste. Discutevo della cosa proprio la settimana scorsa con Jaco stesso e tre altri colleghi (due americani e uno spagnolo, la nazionalità è importante in questo contesto!) e riportavo loro quanto segue. Entrambi abbiamo la stessa sciarpa, molto simile in colore e tessuno. La mia è stata pagata € 8 da Celio a Roma, la sua non so da dove venga, fatto sta che le due sciarpe sono molto simili. Mi piace portarla intorno al collo in modo che rimanga lenta sulle spalle e poi chiudere le due estremità con un nodo leggero, così da risultare un indumento importante su di me che risalta agli occhi. Il modo in cui Jacopo porta la stessa sciarpa? Tutta un’altra storia. Mi sono concesso 5 minuti per osservare quali siano i movimenti che compie quando la indossa, solo per curiosità e per fini sociologici, non per altro. La sciarpa viene quasi lanciata in aria e lasciata poi ricadere intorno alle sue palle, dove questa si va a posare leggiadra come un petalo di gardenia, formando delle onde sul tessuto talmente perfette e simmetriche che in confronto la veste della Vergine Maria ne La Pietà di Michelangelo sembra robetta comprata sulla spiaggia. Mi rendo conto solo ora che non c’è molta differenza tra il modo in cui mia madre era solita incartarmi nella mia sciarpa lunga 2 metri quando ero un bimbetto e quello che faccio ora.

Jacopo's scarf's waves as perfect as the Michelangelo's Virgin Mary's

Jacopo’s scarf’s waves as perfect as the Michelangelo’s Virgin Mary’s

Stivali. L’anno scorso mi capitò di conoscere un amico di amici, un fotografo, un ragazzo molto affascinante e, tanto per cambiare, qualcuno che avrebbe potuto abbattere tutte le barriere dei pregiudizi semplicemente con il suo modo di vestire perchè “Hey, io posso!” Ricordo che un giorno si presentò con un paio di stivali di pelle nera, portati fuori dai pantaloni, tipo stivali da fantino ma ovviamente molto più fichi! Ho sempre avuto un debole per stivali e anfibi, sia sugli uomini che sulle donne, forse perchè rappresentano quella parte aggressiva, trasgressiva e ribelle di me che in realtà non ho mai lasciato uscire del tutto. Guardavo questo tizio con i suoi stivali e pensavo “Io con gli stessi stivali sembrerei un pescatore nel canale. Sampei, ecco cosa sarei!” Qualche mese fa mi capitò di dover andare ad una festa in maschera che aveva come tema “Il tuo eroe”. Io scelsi come eroe Neo di Matrix, non perchè sia davvero il mio eroe (oddio, morirei per avere anch’io la possibilità di farmi caricare nel cervello tutto quello che mi pare), ma solo per poter indossare trench lungo nero e stivali fuori dai pantaloni. Tre giorni prima di partire per Malta (dove la festa si sarebbe svolta) ancora non avevo  qualcosa da mettere ai piedi finchè non mi capitò di incappare in un paio di Doc Martens neri dei quali mi innamorai all’istante. Ora, questi sono Doc Martens di cui stiamo parlando, non robetta, sicuramente molto più costosi di quello che solitamente spendo in scarpe e vestiti, senza considerare che prima d’allora non mi ero mai concesso un paio di Doc Martens. Li volevo, dovevano essere miei e non solo perchè sarebbero stati una bomba sul mio costume da Neo ma solo perchè…. li volevo! Dovevo ovviamente giustificare a me stesso l’acquisto, la sola ragione di doverli indossare per una festa in maschera non valeva la spesa, così inoltrai l’ordine su Amazon (con consegna espressa), promettendo alla voce del mio Io più responsabile che li avrei riutilizzati anche dopo quella sera. Gli stivali arrivarono in tempo, sia party che costume furono un successo (nonostante non vinsi il premio come miglior maschera, un tizio vestito da Bart Simpson vinse solo perchè si presentò tutto dipinto di giallo con il suo skate-board) e il momento di indossare nuovamente i miei stivali e rendere tutte quelle £££ ben spese arrivò. Li indossai in diverse occasioni, lasciando sempre i jeans fuori però, anche per andare in ufficio di venerdì o per essere sorpreso dalla piena del Tamigi (nota mentale: la zip sul dietro non li rende adatti per la pesca nel canale). Due sabati fa, mentre mi preparavo per andare a fare una passeggiata in paese, feci cadere uno dei due stivali mentre prendevo le mie Converse dalla scarpiera. Li guardai per un momento e poi mi dissi “Facciamolo!” Me li infilai, jeans dentro, cappello di lana stile consumato e via per la mia passeggiata. E poi mi dissi “Siamo a Londra, che cavolo! A nessuno frega un cappero di come mi vesto e se anche avessero qualcosa da ridire se lo terrebbero per loro!

My Dr Martens boots

My Dr Martens boots

E se a loro non frega nulla, perchè dovrebbe fregare qualcosa a me? Lascio agli altri la responsabilità sul destino della moda italiana nel mondo. Io mi godo i miei stivali da portare fuori dai pantaloni, i miei jeans scoloriti e il mio stile anni ’90 che ancora si ostina a tornare e grazie tante!

Jacopo, resto comunque ancora intrigato dalla mossa della sciarpa.


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