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Come un quintale di lumache e altre poesie

Creato il 11 gennaio 2014 da Lundici @lundici_it
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Poesie

Trauma

Mancano solo sette minuti
e mi devo organizzare:
provo a uscire dal cartone
come un quintale di lumache, un movimento grosso
dal letto-spazzatura
ci vedo stelle acriliche
sogni verdi spiaccicati
un fastidio mostatico
che morde l’avanzata.

Mi alzo sulla piattaforma
con le redini bel salde
sopra il surf e le lenzuola.

Oggi cerco confidenze
parlo di poesia
ci incastro una bugia
fino alla stazione
senza ombrello
senza protezione.

Ho voglia di parlare con la badante Tina
occhi piccoli Perù
Nike a punta insù
cosce cicciottelle
jeans malinconia.

Il cielo è di pongo
oggi non mi sveglio
resto appesa senza resistenza
senza sogni o rigami
ma penso a te
che mi dici che mi ami.


Poesia dell’assoluto

Voglio bombardarti di particelle
e assumerti come cantastorie
regredire allo stupore del piacere
costruire assolute cattiverie
con l’odore del nostro teatro
che non si sa bene da dove viene
ma impregna l’aria di sostanza
nella stanza
della genesi emotiva.


HIV

Biglie azzurre
ferite lancinanti.

Rimane molto poco
dietro la vetrina sieropositiva
sporca di polvere umida
appiccicosa
affezionata.

Tu non hai più voglia di fare quello che fai
di essere quello che sei
di rimanere attaccato al neon peacemaker.

Faccia dentata dolore evidente
fuga inevitabile
occhi giganti.


Tutto in un euro

Non ho le preferenze
la visione
il gusto personale
gli choc da rimanerci male.

Disegno gatti stilizzati
infiniti aristocratici
sotto il sole in Ticinese
sono le mode
che calpestano le strade.

Ho finito di idealizzarti perché mi hai detto
guarda veramente
frega niente dei tuoi gatti.
Io sono uno che ha le sue idee
e non posso farci niente.
Secondo me sono dei chiodi
pinzatrice
trappola per topi
margini di un cervello-protcollo

congestioni
bolo alimentare.

Se vuoi puoi ritornare
come Dafni e i riti magici
ti aspetto qui
schiena alla colonna
che parlo con un pitbull
tutto bianco tranne un punto
sacra belva di Milano
che mi piacerebbe dissetare.

Francesca

Ti ho lasciata cadere
cercando di appoggiarti piano
sulle mie intenzioni rosa
proprio come il fiore
più dichiarato
come mia preoccupazione aperta
per assicurarmi da lontano
che stai bene (veramente)
con un sassolino nella mano.

E con gli occhi
verdi infilzati
di una bellezza antica
rimandi ogni domani
conservando tra le mani
la tua notte di carezze
di lune piene e mezze.

Riprenditi le spalle
e non pensarci più
al fondo della morte
che da sola sai ascoltare

il tuo motore a pulsazione:

il coraggio di un treno
senza la stazione.

 

Martesana

Martesana,
passa il gruppo
e davanti a tutti,
la puttana più sciupata.

Psicosi infanzia rosa
la tua di Ponte Nuovo
andiamo al Billa
a rimpicciolire davanti al banco frigo
alla cassiera equatoriana
con il sorriso armato e fermo
con cui vince tutti i giorni
e da cui svela fieramente
il segreto ambrato
del suo spirito materno
apparentemente innato.

Tu quello di tua madre,
l’hai spaccato sotto i denti
e sei riuscita a reintegrarlo
nella plastica preziosa
della tue pietre colorate.

Incontaminata,
totalmente dichiarata
mi hai insegnato ad esultare
mi hai spiegato che il coraggio
si sfila facile dal braccio.

Devo stare zitta,
che appena salgo per l’uscita
spunto fuori impreparata
aggrappata e ciancicante
a braccetto con lo sforzo
di chiacchierare con il niente
e di spiare l’assoluto
senza uno strumento che sia uno.

Pon pon bianco ed eccessivo
incoronata nel giorno di Natale
dell’anno Duemila Dopo Cristo:

la platea festosa
si concia di nascosto:
denti duri cocaina
neve fresca di dicembre
ovatta il danno eterno
effondi calma e soluzioni.

Io invece,
non ti chiedo niente,
ma di cadere e basta:

per me qui esposta,
fragile ed acerba,
quello che conta
è infilarmi in superfici
per strizzarne la purezza.


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