Come vanificare cinque giorni di vacanza riconnettendosi con i propri concittadini
Tutte le cose belle finiscono presto e così anche le vacanze. Capita così che mi tocchi di tornare a casa dopo cinque giorni berlinesi e all’aeroporto di Schonefeld trovare al teminal di Easyjet talmente tanta gente da farsi
venire la claustrofobia. Ma siamo in anticipo, siamo innamorati e non abbiamo bagaglio da imbarcare, quindi io e l’Amoremio siamo belli tranquilli e rilassati. Non si va in vacanza per
questo?
facciamo la fila, chiacchieriamo, lui si preoccupa se sto bene. Sto bene, lo giuro, anche se c'ho la panza da bevitore di birra
tedesco.
Arriviamo ad una svolta della fila
accanto al check-in per l'imbarco in stiva, quando un'orda di persone si inserisce di violenza sbraitando e spingendo.
Indovinate di che nazionalità?
Sì, bravi. Avete vinto una bandierina dell'Italia da ficcargli in un occhio.
Non posso esimermi, non ce la faccio.
"Ehi, guardate che la fila comincia trenta metri più giù!"
Capofila della combriccola dal chiaro accento romano e una bionda che non sfigurerebbe in un Jersey Shore all'amatriciana, dall'età apparente intorno alla cinquantina e con problemi al biondo dei capelli: "Ma noi una fila l'abbiamo già fatta: quella per l'imbarco bagagli! Siamo corretti!"
"Ma davvero? Invece noi abbiamo portato meno roba e piegato i vestiti ad origami perché siamo sadici e pure un po' tirchi dentro."
"..."
"La fila comincia da laggiù, signora mia."
"Nun credo proprio!"
Sto per partire alla carica quando l'Amoremio mi trattiene con uno sguardo chiaro: vale la pena?
Vale la pena di incazzarsi per una questione di principio, perdere i benefici di una vacanza appena giunta al termine, picchiarsi con una cafona per nulla?
No, effettivamente no.
Lascio perdere sopportando stoicamente anche il ciarameglio ingiustificato della combriccola, che ha invaso il piccolo terminal trasformando un luogo tranquillo in una molesta borgata.
Per lo scorrere della fila la bionda raffinata si ritrova al mio fianco per puro caso, poggia gli occhi matitatissimi sulla mia pancia e sgrana le sue tonnellate di ombretto.
"Oh, ma sei incinta!"
"?!?!"
"E me lo potevì anche dì, che ti lasciavo passare no?" Mi dice col suo più materno dei sorrisi.
Sorrido anch'io, dolce e materna: "Signora, io pretendo rispetto come essere umano, non come incubatrice."
E procedo.
L'ho già detto che la maternità mi ha migliorato il carattere?