La risposta viene coronata da uno sguardo che sembra voler dire: "La 48 non è una taglia, è un abominio per elefanti e questo splendido negozio (che mi paga una miseria) certo non la tiene, dovresti fare come me che seguo la dieta di Emily del Diavolo veste Prada, non mangio niente e quando sto per svenire assaggio un cubetto di grana."
Non tutte le volte lo sguardo nasconde questo, nemmeno poco velato, insulto, talvolta significa solo: "Mi fanno male i piedi a pranzo non ho mangiato e ora devo andare pure in magazzino per cercare una 48, ma non poteva essere più magra sta qui che di 40 è pieno il negozio?"
In entrambi i casi lo sguardo fa male e ha molto potere. Ha il potere di farci vergognare di noi stessi, ha il potere di non farci tornare in quel negozio, di non farci provare la gonna svasata taglia 46 che ci starebbe benissimo.
Ma tutto il potere non risiede nello guardo, siamo noi che glielo diamo. Vogliamo davvero che quella commessa frustrata che magari sarebbe anche una ragazza simpatica davanti a una birra, ci impedisca di fare una cosa che può renderci felici? Trovare vestiti che ci domino, semplicemente fare shopping?
Io non lo permetto, io mordo.
Ricordo ancora quando sono andata a comprare il completo per la laurea triennale, stavamo scegliendo i pantaloni da indossare sotto una meravigliosa giacca beige di ralph lauren e mia mamma ha detto alla commessa:"44, eh abbiamo puntato sullo studio" "Ma che dici mamma? Cosa c'entra e poi manco avessi una figlia inguardabile!"
In un bellissimo episodio di Drop Dead Diva, la protagonista faceva causa a un negozio che non teneva vestiti della sua taglia, discutendo come in america la taglia media è la 52 e che persino la moglie del proprietario della catena portava una 50. Jane si lamenta perchè prima era magrissima e non poteva permettersi certi vestiti, ora è ingrassata insieme con il suo conto in banca e non ci sono vestiti decenti per la sua taglia, tutto questo mentre una commessa la guarda come se fosse pazza.