Complici, di Miriam Subirana, è un saggio pubblicato da Ghena, nuova e rampante casa editrice fatta da donne per le donne, che si propone di essere la prima in Italia a rappresentare un punto di vista “di genere”. Quello che colpisce, in questo come in altri saggi dello stesso editore che ho avuto modo di leggere, è indubbiamente la chiarezza con cui gli argomenti trattati vengono esposti.
Spesso, infatti, la saggistica di genere sociologico esprime concetti complessi con circonvoluzioni stilistiche ancora più ostiche, rendendo il significato oscuro ai non addetti ai lavoro, ossia la maggior parte dei lettori. Ghena tende a distinguersi perché riesce a rendere universalmente accessibili idee, pensieri e concetti che non vengono mai banalizzati, bensì considerati da punti di vista inediti, cui nessuno prima aveva dato importanza. È il caso di questo saggio della Subirana, che affronta uno degli argomenti più trattati di tutti i tempi, ossia il contrastato rapporto tra gli uomini e le donne, croce e delizia di tutti i sociologi dalla fine dell’Ottocento – secolo che ha visto la nascita del femminismo, che per la prima volta diffondeva l’idea di un femminile non più mero oggetto ma anche soggetto, individuo titolare di diritti propri, con proprie idee, bisogni e desideri – sino ai giorni nostri. Lo fa in maniera naturale ed efficace, poco femminista ma molto femminile.
Poco femminista perché, pur distinguendosi da sempre per l’interesse nei confronti della storia femminile e del ruolo della donna nella società contemporanea, la Subirana osserva entrambi i generi con sguardo scevro da ogni pregiudizio o moralismo: per la studiosa, uomini e donne sono entrambi vittime di ataviche strumentalizzazioni sociali; ingabbiati nei ruoli che le società moderne hanno cucito loro addosso, hanno finito per identificarsi con essi, considerando “naturali” caratteristiche e attitudini che di naturale non hanno nulla, essendo semplici costrutti sociali. Tuttavia, come fa notare l’autrice – che per avvalorare le sue tesi si avvale puntualmente del parere di filosofi e sociologi – liberarsi di questi ruoli e dei condizionamenti che ne derivano non è facile come dismettere un abito che non piace più: al contrario, occorre molta consapevolezza, forza di volontà e, non da ultimo, moltissimo tempo. Per debellare, o quanto meno attenuare, formae mentis consolidatesi nei secoli fin quasi a naturalizzarsi, occorrono molti decenni, se non qualche secolo.
I ruoli di cui parla la Subirana vengono chiamati modelli di "maschilismo tossico" e "femminilità dipendente", e i primi capitoli sono interamente dedicati a un’accurata descrizione dei tratti che li contraddistinguono: se infatti alla donna è sempre stata inculcata l’idea di essere naturalmente inferiore all’uomo, e di doversi quindi assoggettare al suo volere e ai suoi desideri, agli uomini è stato imposto un “machismo” che non tollera deroghe e che risulta nocivo non solo per la donna, ma anche per l’uomo stesso. Entrambi questi modelli inficiano i rapporti tra i sessi, rendendoli fallimentari, frustranti e non di rado dolorosi. Qual è allora la soluzione?
Come primo, fondamentale requisito per la felicità – nonché per rapporti interpersonali soddisfacenti – Miriam Subirana pone l’accento sulla libertà individuale, intesa non come egoismo o sfrenato individualismo, ma come libertà dai condizionamenti, dagli stereotipi di genere e da tutti quei bisogni indotti che deviano le nostre esistenze. Soltanto uomini e donne realmente liberi, mossi dall’amore anziché dal bisogno, possono vivere relazioni sane, improntate al benessere reciproco.
Viceversa, ci si condanna alla noia, all’insoddisfazione e ad un’eterna, infruttuosa e insensata ricerca di emozioni. In una relazione amorosa sana, l’uomo e la donna non sono “metà” convergenti, realizzate solo in coppia, bensì due “interi” autosufficienti, la cui unione è caratterizzata da “un’armoniosa complementarietà” volta ad accrescere un appagamento e una serenità preesistenti.
In una coppia occorre dunque essere complici, consapevoli che il benessere dell’altro è anche il nostro; molto spesso, invece, l’uomo e la donna si comportano come rivali, quasi nemici, che usano l’altro per sopperire a mancanze di cui a stento si rendono conto e che pretendono di colmare attraverso un amore fittizio, svuotato del suo significato originario di condivisione e reciprocità.
Uomini e donne ignari che la vita e le persone sono ciò che sono, che non ci devono nulla e che nessuno, all’infuori di noi stessi, è responsabile del nostro benessere.
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Magazine Cultura
Complici, di Miriam Subirana, è un saggio pubblicato da Ghena, nuova e rampante casa editrice fatta da donne per le donne, che si propone di essere la prima in Italia a rappresentare un punto di vista “di genere”. Quello che colpisce, in questo come in altri saggi dello stesso editore che ho avuto modo di leggere, è indubbiamente la chiarezza con cui gli argomenti trattati vengono esposti.
Spesso, infatti, la saggistica di genere sociologico esprime concetti complessi con circonvoluzioni stilistiche ancora più ostiche, rendendo il significato oscuro ai non addetti ai lavoro, ossia la maggior parte dei lettori. Ghena tende a distinguersi perché riesce a rendere universalmente accessibili idee, pensieri e concetti che non vengono mai banalizzati, bensì considerati da punti di vista inediti, cui nessuno prima aveva dato importanza. È il caso di questo saggio della Subirana, che affronta uno degli argomenti più trattati di tutti i tempi, ossia il contrastato rapporto tra gli uomini e le donne, croce e delizia di tutti i sociologi dalla fine dell’Ottocento – secolo che ha visto la nascita del femminismo, che per la prima volta diffondeva l’idea di un femminile non più mero oggetto ma anche soggetto, individuo titolare di diritti propri, con proprie idee, bisogni e desideri – sino ai giorni nostri. Lo fa in maniera naturale ed efficace, poco femminista ma molto femminile.
Poco femminista perché, pur distinguendosi da sempre per l’interesse nei confronti della storia femminile e del ruolo della donna nella società contemporanea, la Subirana osserva entrambi i generi con sguardo scevro da ogni pregiudizio o moralismo: per la studiosa, uomini e donne sono entrambi vittime di ataviche strumentalizzazioni sociali; ingabbiati nei ruoli che le società moderne hanno cucito loro addosso, hanno finito per identificarsi con essi, considerando “naturali” caratteristiche e attitudini che di naturale non hanno nulla, essendo semplici costrutti sociali. Tuttavia, come fa notare l’autrice – che per avvalorare le sue tesi si avvale puntualmente del parere di filosofi e sociologi – liberarsi di questi ruoli e dei condizionamenti che ne derivano non è facile come dismettere un abito che non piace più: al contrario, occorre molta consapevolezza, forza di volontà e, non da ultimo, moltissimo tempo. Per debellare, o quanto meno attenuare, formae mentis consolidatesi nei secoli fin quasi a naturalizzarsi, occorrono molti decenni, se non qualche secolo.
I ruoli di cui parla la Subirana vengono chiamati modelli di "maschilismo tossico" e "femminilità dipendente", e i primi capitoli sono interamente dedicati a un’accurata descrizione dei tratti che li contraddistinguono: se infatti alla donna è sempre stata inculcata l’idea di essere naturalmente inferiore all’uomo, e di doversi quindi assoggettare al suo volere e ai suoi desideri, agli uomini è stato imposto un “machismo” che non tollera deroghe e che risulta nocivo non solo per la donna, ma anche per l’uomo stesso. Entrambi questi modelli inficiano i rapporti tra i sessi, rendendoli fallimentari, frustranti e non di rado dolorosi. Qual è allora la soluzione?
Come primo, fondamentale requisito per la felicità – nonché per rapporti interpersonali soddisfacenti – Miriam Subirana pone l’accento sulla libertà individuale, intesa non come egoismo o sfrenato individualismo, ma come libertà dai condizionamenti, dagli stereotipi di genere e da tutti quei bisogni indotti che deviano le nostre esistenze. Soltanto uomini e donne realmente liberi, mossi dall’amore anziché dal bisogno, possono vivere relazioni sane, improntate al benessere reciproco.
Viceversa, ci si condanna alla noia, all’insoddisfazione e ad un’eterna, infruttuosa e insensata ricerca di emozioni. In una relazione amorosa sana, l’uomo e la donna non sono “metà” convergenti, realizzate solo in coppia, bensì due “interi” autosufficienti, la cui unione è caratterizzata da “un’armoniosa complementarietà” volta ad accrescere un appagamento e una serenità preesistenti.
In una coppia occorre dunque essere complici, consapevoli che il benessere dell’altro è anche il nostro; molto spesso, invece, l’uomo e la donna si comportano come rivali, quasi nemici, che usano l’altro per sopperire a mancanze di cui a stento si rendono conto e che pretendono di colmare attraverso un amore fittizio, svuotato del suo significato originario di condivisione e reciprocità.
Uomini e donne ignari che la vita e le persone sono ciò che sono, che non ci devono nulla e che nessuno, all’infuori di noi stessi, è responsabile del nostro benessere.
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