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Comunicare l’Europa è davvero così complicato?

Creato il 09 aprile 2015 da Retrò Online Magazine @retr_online

Questo articolo è il risultato del lavoro di cooperazione tra i partecipanti al seminario di due giorni “Europe behind (mis)understanding”, organizzato da CIDOB (Barcellona, Dicembre 2014): Hanne Brønmo, Irene Dominioni, Ana Escaso Moreno, Simone Fissolo, Fatih Göksu, Nele Goutier, Lotte Kamphuis, Sofia Lotto Persio, Paula Meliá García, Francisco Pérez Urena, Magda Skrzypek, Dániel Szabó e Yasmin Wolkow.

“Discutere di come viene comunicata l’Europa sembra ricondurre inevitabilmente a qualcosa di inafferrabile, a ciò che comunemente chiamiamo ’“identità europea”. Tuttavia, per provare a superare questa barriera, apparentemente insormontabile, bisogna svincolarsi dal concetto di identità e cominciare da tre domande: come viene comunicata l’Europa, o meglio l’Unione Europea, dalle sue stesse istituzioni? Come viene percepito il messaggio dai cittadini? E infine, come valutare il lavoro svolto dai media, in quanto insieme di strumenti di mediazione tra la cittadinanza e le istituzioni?

Le istituzioni dell’UE sono state accusate tradizionalmente di mancanza di trasparenza e autocritica per quanto riguarda la loro comunicazione. Ma ciò si riferisce ormai a qualche anno fa, quando si pensava ancora che il progetto europeo dell’UE fosse almeno conveniente, anche se non del tutto convincente. In tempi di crisi, invece, i cittadini si chiedono cosa rende l’appartenenza europea degna di tante differenze e difficoltà. La strategia di comunicazione dell’UE non è riuscita a cambiare questa percezione, presente sia prima sia durante la crisi, e sembra aver fallito di fronte a ciò che invece riesce a essere presente nella mente delle persone. La comunicazione dell’UE è qualcosa di più simile ad una propaganda che racconta spesso la necessità di una maggiore integrazione, piuttosto che a una comunicazione efficace in grado di raggiungere più di 500 milioni di persone presenti sul continente. In altre parole, come può un’informazione unilaterale, molto tecnica e troppo poco trasparente riuscire a connettersi con le realtà locali quali, per esempio, una cittadina di 3.000 persone situata da qualche parte in Svezia, Croazia o Spagna?

parlamento-europeo

Comunicare non vuol dire solo trasmettere messaggi, ma anche riceverli. Quando si parla di Europa la ricezione del messaggio viene mediata da vecchi e nuovi stereotipi e pregiudizi che separano il nord dal sud, l’est dall’ovest e debitori da creditori. Inoltre, in molti Stati membri l’UE viene spesso percepita come l’”altro”. Ciò significa che il modo attraverso il quale l’UE ha reagito alla crisi e la sua insistenza a implementare misure contrarie alla volontà popolare porta a percepire un’immagine di UE come supervisora, come entità esterna, invece che come sostenitrice o come un progetto in cui gli Stati membri si sentono partecipi. Questa situazione è peggiorata dal fatto che il successo è nazionalizzato in quanto i governi nazionali attribuiscono ogni successo a se stessi, indipendentemente dall’intervento o meno di Bruxelles; i fallimenti invece vengono “europeizzati”. Ciò mostra un’immagine dell’Unione Europea come qualcosa di “altro” che però impone misure di austerità a dispetto della sovranità nazionale.

I media si trovano esattamente in mezzo tra una comunicazione insufficiente da parte delle istituzioni europee e i cittadini dell’Unione, divisi da un lato nel rinforzare pregiudizi e stereotipi, dall’altro cercando di offrire un’informazione accurata in un ambiente segnato da rapidità e una mancanza di trasparenza da parte dell’UE. In tale contesto, è difficile creare contenuti che hanno a che fare con l’UE e che possano interessare il pubblico generale. Data la quasi inesistenza di un’opinione pubblica europea, i contenuti raramente soddisfano i criteri di ciò che fa notizia. Inoltre, i media tendono a usare una prospettiva nazionale che, rendendo la notizia più interessante, rafforza l’idea di un’Unione frammentata da varie realtà nazionali. Nonostante gli sforzi compiuti per creare dei media pan-europei, essi non sono riusciti nel loro scopo di creare un’opinione pubblica europea. La tendenza attuale è di promuovere media transnazionali in grado di trattare notizie da diverse prospettive, ponendo i punti di vista nazionali in discussione tra loro.

Pare essere questo il problema del comunicare l’Europa: da un lato, i cittadini raramente rivendicano il proprio diritto ad essere informati, poiché l’Europa è per loro una realtà troppo lontana e difficile da comprendere; dall’altro, gli attori pubblici ed i mezzi di comunicazione non sanno, o non intendono, raggiungere un pubblico che sembra essere disinteressato. Nonostante queste difficoltà, c’è ancora spazio per la speranza, soprattutto se si leggono gli studenti di giornalismo che provano interesse per l’Europa, per come viene amministrata e per l’impatto che ha sui propri cittadini. La maggior parte dei giornalisti di domani sono nati in una Unione Europea già consolidata, hanno viaggiato o studiato in più di un Paese europeo e parlano una o più lingue straniere oltre alla propria. Essi sono quindi consapevoli di come la politica dell’UE riguardi le proprie vite, sia negativamente sia positivamente. Sanno che i progressi che porteranno l’Unione Europea ad essere mediaticamente più rilevante e più comprensibile dovranno essere attuati non senza fatica, seppure con pazienza.

Il panorama politico, economico e sociale europeo è davvero così complesso da non poter essere comunicato efficacemente? La risposta negativa conduce ad un’ulteriore questione: la sfera politica europea vuole essere compresa dai suoi cittadini, anche se ciò richiede un maggior grado di responsabilità? Se così è, i futuri comunicatori dell’Europa devono rivendicare il proprio diritto ad essere giustamente informati e sono disposti ad ascoltare attentamente, assumendo effettivamente il proprio ruolo di mediatori fra le istituzioni europee ed il pubblico.”
(Traduzione di Simone Fissolo, Sofia Lotto Persio, Irene Dominioni)

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