Il seguente articolo e’ di Gian Luca Clementi ed e’ apparso sul blog Noise From Amerika; condivido in toto questa analisi: De Blasio non e’ l’uomo giusto per NY. Ecco il perche’.
L’elezione di Bill De Blasio a sindaco di New York segna il ritorno al passato, un passato non proprio edificante.
Immaginatevi una studentessa all’ultimo anno della scuola superiore che si addentra in un quartiere malfamato di New York, con le strade sporche e frequentate a tutte le ore da perditempo, le facciate dei palazzi annerite, le finestre sbarrate, e un paio d’ore dopo ne esce commiserando la sua insegnante, da cui si è appena accomiatata, perché non si può permettere di abitare in un quartiere migliore. La studentessa era mia moglie, il quartiere era Soho, e si trattava della fine degli anni Ottanta. È solamente una, tra le tante immagini della sua giovinezza trascorsa a New York, che mi ha voluto trasmettere.
Chi ha visitato New York negli ultimi anni, anche quelli della recessione, è tornato a casa con la veritiera impressione di una città vibrante, funzionale, e con un tasso di criminalità molto basso. Solamente venti anni fa, avrebbe avuto un’esperienza radicalmente diversa. Si era alla fine dell’amministrazione Dinkins, spesso segnalato come il peggiore sindaco della storia della città. La città era sciatta, la metropolitana imbrattata di graffiti, il tasso di criminalità elevatissimo, le finanze del Comune dissestate.
Esasperati e disposti a tutto pur di migliorare la propria esistenza, i cittadini si affidarono al repubblicano Rudy Giuliani, nonostante la stragrande maggioranza simpatizzasse per il Partito Democratico.
Ai due mandati consecutivi di Giuliani, seguirono i tre di Mike Bloomberg. Come è facile immaginare, molte sono state le discontinuità tra queste amministrazioni e quelle che le hanno precedute. A mio modo di vedere, la più importante fu il venir meno di un elemento fondamentale — il sindaco, appunto — nel sistema di potere legato al partito democratico che aveva governato la città per decenni. Per molti versi, tale sistema seguiva un protocollo simile a quello adottato dal PCI-DS-PD in Emilia-Romagna e da DC-FI-PDL in Molise, concretizzandosi in una pressoché totale occupazione dei centri decisionali e in una gestione della cosa pubblica ad esclusivo vantaggio dei propri accoliti.
Le parole chiave erano cooptazione, corruzione, e inefficienza. A prescindere dalle loro posizioni politiche, un fattore determinante del successo di Giuliani e Bloomberg è stata la loro estraneità a tale sistema.
Poche settimane fa, gli elettori hanno individuato in Bill De Blasio, candidato del Partito Democratico, il nuovo sindaco della città.
Visto che risiedo a New York ininterrottamente da dieci anni, molti amici italiani mi hanno chiesto se condividessi i giudizi largamente positivi che la maggior parte dei media italiani ha espresso a proposito del neo-sindaco. Ebbene, non li condivido affatto. Secondo me, c’è un forte rischio (la certezza?) che l’elezione di De Blasio riconsegni la città allo stesso gruppo di potere che rischiò di affossarla definitivamente non più di venti anni fa.
Non dovrebbero esserci soverchi dubbi circa la contiguità tra De Blasio e quel gruppo, che fa capo al partito democratico e alle maggiori sigle sindacali dell’impiego pubblico. La campagna elettorale di De Blasio ha beneficiato enormemente dell’appoggio dei sindacati, i quali gli hanno assicurato finanziamenti e volontari. Una volta in carica, De Blasio si troverà a negoziare il rinnovo del contratto di lavoro per decine di migliaia di dipendenti comunali. Dall’altra parte del tavolo si troverà i sindacalisti che hanno avuto un ruolo fondamentale nella sua elezione e che tra quattro anni dovranno decidere se appoggiarne la rielezione. Come credete che si comporterà?
Dal curriculum pubblicato sul suo sito personale, si evince che il prossimo sindaco di New York non ha mai lavorato. Finiti gli studi post-universitari, ha cominciato la classica trafila del politico professionista. Staffer (attacchino) per il famigerato sindaco Dinkins, poi all’agenzia federale dell’edilizia popolare (chiamatovi dall’attuale governatore Cuomo), quindi al provveditorato agli studi (altro organo politico, ahimè) a Brooklyn, direttore della campagna elettorale di Hillary Clinton nel 2000, per approdare infine al consiglio comunale di New York e, ultimo incarico in ordine di tempo, a quello di public advocate, una sorta di ombudsman presso il Comune.
Vorrei sapere cosa, in questo profilo professionale, qualifica Bill De Blasio a condurre un’organizzazione complessa come quella del Comune di New York, responsabile per assicurare una miriade di servizi a circa 8 milioni e quattrocentomila abitanti. Il ruolo primario di sindaco non è quello di perseguire ambiziosi obiettivi di politica sociale, attività per la quale non ha gli strumenti. Bensì, il sindaco deve adoperarsi affinché si raccolga l’immondizia, le strade siano in buono stato, i lampioni funzionino… Per questo servono competenze manageriali che né De Blasio né i suoi più stretti collaboratori, elencati dal New York Times lo scorso 8 novembre, hanno accumulato.
L’unica indicazione incontrovertibile che si può ricavare dalla carriera di De Blasio è la sua contiguità e familiarità con praticamente tutti i gangli del trust di potere che ho menzionato sopra. Non sorprende, peraltro, che queste semplici considerazioni, che lo squalificano ai miei occhi, lo rendano così appetibile alla sinistra italiana, soprattutto quella organica al vetusto ed anacronistico Partito Democratico (Italiano). Il profilo di De Blasio non è molto diverso da quello di molti politici sinistrorsi italiani.
Ad esempio, prendete quello del mio conterraneo Vasco Errani. Iscritto al PCI da bambino, consigliere comunale a Ravenna a 28 anni, quindi assessore comunale, poi in consiglio regionale, assessore regionale, e infine presidente della regione. Una vita al servizio della collettività… la loro.
Prima di chiudere, un paio di note in calce su due temi che sono stati fondamentali nella vittoriosa cavalcata elettorale di De Blasio: la scuola materna e la cosiddetta strategia di “stop and frisk”. La campagna elettorale di De Blasio è stata un mix di visioni mistico-vendoliane — ”Un posto di lavoro per tutti,” ”Crescita economica per tutti i quartieri,” ”Case sicure e confortevoli per tutti“… — e promesse concrete ma irrealizzabili. Per esempio, ha promesso che il Comune pagherà la scuola materna per tutti i bambini, facendone pagare il conto ai ricchi mediante nuove tasse.
Al momento, con l’eccezione di pochi quartieri (in cui l’istruzione pubblica inizia al quarto anno di età), non v’è scuola materna comunale per i bimbi di età inferiore ai 5 anni. Da un lato, né il Comune né le strutture private esistenti hanno la possibilità fisica di incrementare il numero di studenti. Il boom demografico degli ultimi anni non ha visto un parallelo incremento dell’offerta, con il risultato che le scuole esistenti sono sovraffollate. Certo, se ne possono costruire di nuove… ma a che prezzo, e in quanto tempo? Dall’altro lato, la costituzione dello Stato di New York non dà né al sindaco né al consiglio comunale il potere di modificare le tasse. Bensì, legiferare in materia fiscale spetta al Parlamento dello Stato. Con un Senato controllato dal Partito Repubblicano e un governatore (Cuomo) con ambizioni di candidarsi per la presidenza degli Stati Uniti, la possibilità che le tasse aumentino è pressoché nulla.
Chirlane I. McCray, moglie di Bill De Blasio, indica il coniuge come difensore della minoranza afroamericana
Infine, eccoci allo ”stop and frisk”. È risaputo che negli ultimi due decenni il crimini negli Stati Uniti è diminuito fortemente. È diminuito anche a New York, e ad un tasso maggiore rispetto a qualsiasi altra area urbana del Paese. Per esempio, nel 2012 il numero di omicidi a Chicago è stato superiore rispetto a quello registrato a New York, nonostante la città dell’Illinois abbia meno di un terzo degli abitanti della Grande Mela. Il dibattito sulle cause di questo miglioramento ha individuato molti fattori, sull’importanza relativa dei quali ancora si discute e si discuterà per molto tempo. Molti indentificano un fattore determinante nell’attività della polizia, che è alle dirette dipendenze del sindaco.
Giuliani e Bloomberg hanno investito molto nelle forze di polizia, dotandole di strumenti a volte controversi ma palesemente efficaci. L’utilizzo di uno di tali strumenti, che l’attuale capo della polizia ritiene imprescindibile, verrà fortemente ridimensionato da De Blasio. Si tratta proprio della cosiddetta tattica di “stop and frisk’, che altro non è se non l’attività di controllo e perquisizione delle persone basata unicamente su caratteristiche personali associate statisticamente all’attività criminale, senza che vi sia un sospetto specifico. Gli scienziati sociali chiamano questa pratica discriminazione statistica: quando si cerca un rapinatore a mano armata, è inutile fermare le vecchiette col bastone. Meglio provare con i giovanotti con il passamontagna.
De Blasio diminuirà il ricorso a “stop and frisk” perché viene rivolta a giovani uomini di colore in misura ben superiore al loro peso nella popolazione. Sulla scorta di questa osservazione, il neo-sindaco, e con lui molti altri, accusano la polizia di razzismo.
Non dovrebbe sfuggire, però, che l’elemento fattuale determinante per le decisioni della polizia è che, per motivi che nulla hanno a che fare con la razza e molto con le condizioni socio-economiche, circa il 95% dei crimini violenti sono perpetrati da persone di colore o di origine ispanica. Si badi anche che la polizia di New York non è una forza di bianchi che agisce in difesa di altri bianchi. Circa metà dei poliziotti fanno parte delle cosiddette minorities, e la stragrande maggioranza delle vittime sono anch’esse di colore.