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Sat, 22 Mar 2014 20:42:04 GMT
Sat, 22 Mar 2014 20:42:04 GMT
Federigo Tozzi
“Vorrei parlare di questi indefinibili turbamenti del marzo, a cui è unita quasi sempre una sottile voluttà, un desiderio di qualche bellezza”
Questo è il concetto di “realismo” di Tozzi, in questo romanzo del 1919: se di realismo si può parlare. Una costruzione narrativa che non fornisce punti di riferimneto precisi. Possiamo dire che l’autore ne costruisce una struttura tutta sua, lontana sia dai “canoni” classici sia dalle ibridazioni che in quel periodo si stavano iniziando ad affacciare (come un certo “simbolismo” in letteratura).
I personaggi di “Con gli occhi chiusi” sorprendono per l’ansia descrittiva con cui ci vengono posti: descrizioni nette, che però tergiversano sugli avvenimenti. Personaggi che si rincorrono (Pietro e Ghìsola) e che alla fine finiscono per rincorrere se stessi, perdendosi. Sì, perché questo romanzo fa parte di una trilogia (insieme a “Tre croci e Il podere”) che mette in risalto personaggi “non riusciti”: in effetti Pietro, figura “centrifuga” della storia, progredisce come personalità solo alla fine del romanzo, dove, la magra consolazione sarà quella di rendersi conto che ha tenuto per troppo tempo “gli occhi chiusi” sulla realtà.
Il titolo infatti è un palese riferimento a quello che Pietro vive: l’amore per Ghìsola oscura la mente di Pietro, ma alla fine della storia è Ghìsola ad apparire miserabile, ad apparire immagine sbiadita di quella che in realtà Pietro voleva che fosse.
Pietro, come sua madre dedita esclusivamente alla vita domestica,è un uomo che vive nella più totale solitudine, senza rendersene conto.
Luigi Pirandello ha commentato il romanzo di Tozzi, con questa osservazione: “Quella Ghìsola, così viva tutta, che si perde, e quel suo Pietro che non vede, sempre vagante in cerca di se stesso… Ma perché è così? – ci domandiamo pur sapendo e sentendo che così è giusto, e che è soltanto una nostra pena che per loro che lli vorrebbe altriementi. E’ cosi, e non perché questo sia un romanzo della loro vita, ma perché la loro vita è in questo romanzo, così.”
“Con gli occhi chiusi” insieme a “Tre croci” ed a “Il podere” il romanzo che presenta personaggi inetti, incapaci di ribaltare il proprio destino, triste e rovinoso. Salta agli occhi durante la lettura un profondo autobiografismo (i personaggi non sono altro che proiezioni mentali dell’autore e del suo conflitto interiore mai risolto) ed un crudo e personale realismo.
Tuttavia il titolo stesso del romanzo potrebbe alludere ad un periodo particolare della vita di Tozzi: un grave problema alla vista che lo costrinse a stare al buio per molto tempo.
Nell’analizzare la società in cui si trova, Tozzi non si lascia guidare da ideologie, ma dall’oggettività che spesso risulta sgradevole, proprio perché l’autore riesce a cogliere il disagio della vita in tutta la sua tragicità, contrapposta all’idealismo di Pietro, sulla scia dei grandi romanzi del primo Novecento caratterizzati da un profondo senso d’angoscia che incute nel lettore.
Vi è un pessimismo radicale in Tozzi nel momento in cui intercetta abilmente i moti interiori dei personaggi-uomini con una scrittura essenziale, senza orpelli, cruda, scavata nella pietra; sgradevole come dimostrano i seguenti passi: << sentiva malvolentieri che tutto ciò che esiste non era soltanto in lei”, si appropriò di un nido di “cinque passerotti” e “schiacciò con le dita la testa a tutti>>.
Digressioni e scarti temporali fanno di “Con gli occhi chiusi” uno dei primissimi e chiari esempi di romanzo moderno psicologico, dove l’auore vive con i suoi personaggi vinti, è uno di loro, senza mai perdere quel forte legame con la terra e con le sue radici.