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Con i fiori per "fermare le truppe TAV"

Da Astonvilla

«Qui la paura non è di casa!» dice un fortunato slogan No Tav. Un'affermazione fiera e pacata, come il popolo di questa valle che da vent'anni resiste contro la grande opera del treno ad alta velocità, inutile, costosa e dannosa. Una pacatezza «determinata», come amano dire i valligiani, tanto più necessaria oggi che i gufi della politica istituzionale e le cassandre del giornalismo mainstream gridavano al pericolo d'improbabili internazionali black bloc. E ieri erano in tanti, dalla valle e dal resto d'Italia, dalla Francia, Svizzera e Germania. Ma tutti, anche i più arrabbiati, hanno accettato le regole stabilite nelle assemblee degli ultimi giorni.
«Non saranno necessari le maschere antigas né i caschi», assicurava Francesco Richetto, del comitato di lotta popolare di Bussoleno dal camioncino d'apertura della marcia. «Siamo noi ad aver deciso così, il senso della giornata è un altro. Domani (oggi per chi legge, ndr) finisce il campeggio e comincia un presidio permanente della valle che proseguirà fino a settembre-ottobre, quando apriranno il cantiere vero e proprio di Clarea, e noi saremo là».
Ieri i No Tav c'erano ed erano tanti. Le prime stime parlano di 10-15 mila persone, con una presenza fitta e generosa della componente allargata del movimento: pensionati, bambini, intere famiglie, l'immancabile banda musicale No Tav e la «samba band», i viticoltori che faticano a coltivare le loro vigne nel terreno recintato e le valligiane che non mancano un appuntamento, per nulla stanche di contribuire all'organizzazione di un campeggio che per il ministro Maroni altro non sarebbe che un pericoloso ricettacolo di terroristi. Le sue minacce non hanno tardato a tradursi in realtà e già nei giorni scorsi sono giunte le prime denunce e i fogli di via, forieri di future manovre repressive.

Ma ai No Tav le minacce sembrano non fare paura, né accettano di essere rinchiusi in una classificazione troppo semplificata. E mantengono anche il senso dell'umorismo. Scherza una signora dalle prime file della marcia, dietro lo striscione d'apertura («Fuori le truppe»): «Siamo qui perché, a quanto pare, da queste parti l'idea è quella che quando dici No è Sì, perché siamo bastian contrari». Poco più in là, qualcuno venuto da molto lontano comprende perfettamente la posta in gioca di questa battaglia, così profondamente territoriale ma così poco nimby. È un'aquilana, venuta «qui per i valsusini, per portare solidarietà. Ma anche per noi. Perché la Val di Susa, in questo momento è la frontiera della democrazia in Italia». Del resto, «anche l'informazione ha vissuto qui il suo definitivo massacro». Qualche metro più indietro c'è un alpino di mezz'età: «Non tutti gli alpini sono aldilà di quelle rete, anzi ce ne son pochissimi di là, sono quelli che vengono pagati. Noi l'abbiamo fatto come servizio di leva mentre oggi lo fanno per soldi».
La battaglia, ancora una volta, si è giocata sui due piani paralleli e comunicanti del territorio reale e dell'infosfera virtuale, con migliaia di messaggini sui social network, dirette radio e video caricati in rete in tempo reale che hanno battuto le alte prestazioni dell'informazione mainstream. I siti di movimento (notav.info, notav.eu, infoaut.org) e Radio Blackout hanno seguito, passo dopo passo, ogni metro del corteo, raccontando e restituendo la parola ai suoi protagonisti reali, così lontani dai riduzionismi della comunicazione ufficiale, capace solo di raccontare di violentissimi black bloc o pacifici montanari.

I numeri e la gioia che ieri hanno ripercorso i sentieri che da Giaglione portano a Chiomonte, di fianco a quel recinto teatro di ripetuti scontri, la dicono lunga sulla tenuta di un movimento letteralmente inclassificabile, capace di comporre insieme alpini e centri sociali, cattolici, ex-leghisti riconvertiti e gli orfani di una sinistra che non c'è più.
Un movimento molto cresciuto negli ultimi quindici anni, pronto per un nuovo autunno di lotta che potrebbe presto rivederlo attraversare le strade della vicina-lontana Torino per parlare ai metropolitani di crisi e debito. Le premesse ci sono già tutte ma ieri, più importante, era tener fede alla parola d'ordine sorta tra «la Libera Repubblica» e il campeggio resistente: «Si parte tutti insieme , si torna tutti insieme». I No Tav l'avevano promesso e così è stato.


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