E’ una tristezza infinita leggere sul giornale di una giovane ciclista morto durante un’importante competizione sportiva, il Giro d’Italia. Parlo del ciclista belga Wouter Weylandt scivolato ieri e schiantatosi contro un muretto. Tragici destini che cambiano umori, priorità e voglia di vincere. Succede nel ciclismo, succede nello sci, nel motociclismo, ma succede anche sul lavoro, le morti bianche, così si chimano.
Non so quanto sia preventivato il rischio di morte in questi sport, forse ognuno di loro, nel silenzio del proprio cuore, sa che oltre alla sfida dei muscoli c’è anche la sfida con la morte. Lo sa Valentino Rossi, lo sa Fernando Alonso, lo sapeva Wouter Weylandt. La morte, celata dietro la fatalità, chiude il sipario sui sogni di questo giovane belga.
Mio padre mi ha insegnato, da grande sportivo, a guardare lo sport dal suo lato migliore, non solo quello dei risultati. Applaudire la tenacia, il coraggio, la lealtà e il sacrificio. Il risultato, se pur importante, arriva dopo.
Uno sportivo è per me bravo e forte anche quando non mantiene il suo record, anche quando non è più il numero uno, perché ne conosco i sacrifici che sono dietro una competizione. Purtoppo la stampa ama il gossip, ama i risultati importanti, ama lo scandalo. Dietro una notizia c’è un uomo con i suoi sogni, con le sue passioni, con i suoi innumerevoli sacrifici.
Nel ciclismo c’è un’espressione molto bella che si dice quando si va veloce, “la volata”, ecco, io spero che sia un volo radioso, circondato da applausi e da rispetto, per Wouter Weylandt e per quei tanti sportivi e uomini che hanno perso la vita, loro malgrado, per inseguire un sogno.