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Mio padre mi raccontava le storie diventati irraccontabili e mia madre nella sua lucida attenzione teneva tutto sotto controllo. Da quando mio padre non c’è più tutto è diventato distanza. Cerco di rileggere quadri di memorie ma sento soltanto la voce di mia madre che vive di dolori e di lancianti ironie. Tutto passa e passa tutto anche se quei ricordi diventano macerie e rovine. Cumuli di macerie. Non avrei mai pensato che mio padre potesse mancarmi tanto. Semplicemente per il fatto che non avevo mai pensato alla sua morte. Alla sua distanza. Non è vero che i morti ci restano accanto. Ci vivono dentro. Ed è difficile poter costruire o ricostruire avventure che possano disegnare un destino. Cercando foto ingiallite che non trovo più ho, invece, ritrovato, sparse tra cartelle, alcune poesie di un poeta che nell’età della mia giovinezza ho letto tanto ed ho cercato anche di copiarlo. Si chiama Zarit Akbata. Un poeta turco. Morto nel 1955 a Malta. O meglio lo videro l’ultima volta a Malta. Dopo non si seppe più nulla. Dei poeti che mi hanno accompagnato ho sempre perso le tracce. Non so perché. Li ho letti. A volte li ho anche conosciuti. Ma poi sono spariti tra vento e nuvole. So che era nato a Smirne nel 1885. Di lui mi restano soltanto pochi versi. Forse cercando potrei trovare un poemetto di cui ricordo il titolo: “Amandoti tra i mari”. Ho riletto i suoi versi. Scriveva direttamente in lingua italiana. Francesco Grisi mi aveva raccontato che Zarit Akbata conosceva dieci lingue ma preferiva sempre scrivere sia in italiano che in lingua francese. Mi ritrovo questi versi proprio perché mi sono stati regalati da Francesco Grsi in una sua vacanza nella mia casa in Calabria. Ricordo. Li portava dentro il suo romanzo “Maria e il vecchio”. Chiusi in una busta gialla. Consegnandomeli mi disse: “Custodiscili tu. Io li ho trovati in un mio viaggio ad Istanbul. Mi sembrano belli. Importanti. Sono solo pochi fogli. È un poeta che nessuno conosce. Voleva restare poeta solo per se stesso e per le donne che ha amato. Tra queste donne che ha amato c’è Ishabel. I versi che ti consegno, pochi, sono dedicati a Ishabel. È un uomo che ha tanto viaggiato. Dalle ricerche che ho fatto sono venuto a conoscenza che la sua vita si è svolta per gran parte in mare. Tra una nave e una piccola imbarcazione. Sempre senza alcuna generalità. Un poeta e un uomo nella clandestinità. Non ho saputo altro. Credo che possano interessare il tuo viaggio di poeta”. Ci sono state stagioni durante le quali non ho più pensato a Zarit Akbata. Ora questi versi sono giunti così. Nel sogno e nel destino. Li ho riletti. Qui lascio qualche verso. Se non avessi messo le mani tra cassetti e carte nella mia casa in Calabria non avrei trovato queste poesie. È tutto assurdo ma è tutto vero nella vita. Dal giorno che ho preso consapevolezza che mio padre non c’è più, è inutile negarlo, la mia vita è cambiata. Sono invecchiato anch’io. Come le tartarughe che si rincorrono ma sono stanche e vivono la solitudine. Come la palma che è stata tagliata proprio nei giorni in cui mio padre dialogava già con la morte. Tutto ha un senso. La pazienza e la perseveranza mi accompagnano. So di dover guardare negli occhi la storia e il tempo, ma so anche che non potrò mai dimenticare le mani di mio padre quando, nell’ultima sera, stringevano a stento le mie. Passano epoche. Lo so. Gli amori ti raccolgono in un gesto. Non smetti di essere figlio e sai di essere padre e continui ad essere figlio senza più la presenza del padre e ad essere padre perché devi guidare i passi dei tuoi figli. Continuo a non interessarmi della punteggiatura: se dovessi farlo sarei finito come scrittore. Ci saranno altri giorni recitava Pavese. È vero. Ci saranno altri giorni e altre notti. Ma tutto non sarà come è già stato. Ed è qui che fanno eco i versi di Zarit Akbata. Leggo un passaggio: “Amore che hai volto lo sguardo all’unica stella raccogli le sue ombre perché le ombre faranno luce. Mia Ishabel ti porterò sulla risacca per amarti. Non aver mai paura. Ti difenderò dai fiumi violenti del mare semplicemente per amarti”. D’ora in poi mi prometto di rileggere Zarit Akbata e di raccogliere i suoi versi. Mi impegnerò a cercare il poemetto che avrò custodito in un spazio segreto. Non so perché quando si nascondono le “cose” in posti segreti non si riescono più a trovare. I segreti. Il tempo mi scorre tra le dita. Mi trovo tra le onde del Mediterraneo. A volte osservo il mare da una vetrata e cerco di leggere gli orizzonti per catturare le terre e le distanze. All’imbrunire scoccano i fari. Blu. Arancione. Vola. Ma i miei occhi sono puntati sul sole che tramonta in un batter di ciglia lungo la linea perduta degli orizzonti. È vero. La pazienza mi aiuta a non chiedere. La perseveranza ad ascoltare l’attesa. A chi racconterò del mio amore. Zarit Akbata mi recita: “Non cercare se cercando ti troverai a lacerare l’impossibile. L’impossibile lascialo vivere nella tua anima”. “Ci sono onde che toccano il molo con le corde del vento. Non preoccuparti del vento e neppure del molo. E se ti aspetto è perché lo so che non verrai”. So di essere figlio e di avere un padre che viaggia tra le distanze dei giardini senza più peperoncini e abbandonati tra i venti delle assenze ma so anche di essere padre tra le tomaie del tempo e gli occhi dei miei figli… Cerco di cercarmi tra le parole di Zarit Akbata e tutto ciò che ho scritto qui lo devo anche a lui. Oltre che a mio padre.
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