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Il nuovo sguardo di Raffaele Gaetano su “La Calabria nel Viaggio Pittoresco del Saint-Non”
di Pasquale Allegro
“La posizione di questa piccola città, che scorgevamo appoggiata su uno sfondo di montagne tutte coperte di boschi, offriva da lontano il quadro più singolare e più pittoresco”. Così appariva Nicastro - nel lontano 7 dicembre del 1778 - agli occhi del francese Dominique Vivant Denon, puntiglioso redattore di un importante diario di viaggio, e dei suoi fieri compagni di avventura Claude-Louis Châtelet, Louis-Jean Despréz e Jean-Augustin Renard, vedutisti sensibilmente accorti dello straordinario spettacolo offerto da quel Mezzogiorno d’Italia il cui profilo restituiva una naturalezza spigolosa, quanto bella (di un bello nuovo, spiegheremo più avanti), dei luoghi: si parla qui del grandiosoVoyage Pittoresque ou Description des Royaumes de Naples et de Sicilie, “pietra angolare della letteratura di viaggio”. L’ultimo virgolettato appartiene legittimamente alla garbata e raffinata prosa di cui il prof. Raffaele Gaetano – studioso lametino di Estetica e docente di filosofia, nonché giornalista, autore e curatore di importanti rassegne culturali – impreziosisce il suo nuovo saggio, che c’introduce, come in una stoccata temporale, nel vorticoso movimento del Grand Tour settecentesco, proprio nell’attimo in cui imperversava imperterrito quaggiù nel nostro Sud (“in cui il grazioso è unito al grande e i dettagli lo contendono all’insieme”, annota sempre Denon). Ci si riferisce dunque al Viaggio Pittoresco in Calabria, impresa editoriale voluta da Jean Claude Richard de Saint-Non, abate francese col piglio artistico, che, “ingaggiati a suon di quattrini” i sopraccitati grandtourists, si avvalse del prezioso diario di viaggio di Denon e dei disegni di monumenti e vedute realizzati dai pittori che lo accompagnarono. La Calabria nel viaggio pittoresco del Saint-non di Raffaele Gaetano, edito da Koinè, ospita quel trascorso, offrendoci un prezioso resoconto di meraviglia e stupore, tra paesi e città del passato, tra profili di vita e lineamenti paesaggistici, catturati, impressi e riportati in un elegante volume sotto forma di trentacinque sorprendenti tavole acquerellate una a una.Tra queste righe il prof. Gaetano desidera soprattutto individuare, nell’intensità che ha spinto Denon ad “esplorare le terre incognite e a tornare indietro con un ponderoso reportage”, l’impeto tipicamente preromantico di sferrare un colpo debitamente assestato al culto della ragione illuminista, invaghita di un modo di percepire il mondo come “assediato da certezze quanto da fosche elucubrazioni”. Ed è così, spiega lo studioso, che si iniziò finalmente a congetturare intorno all’esperienza immediata dell’impressione, come capacità di guardarsi intorno e di sperimentare il mondo, che è ad un tempo “percezione visiva e descrizione di luoghi, sagacia dell’occhio e voracità del conoscere, emotività e malinconia”. Una maniera (puerile forse? ma sì, sono i fanciulli che giungono lontano) di sorseggiare la conoscenza in un effluvio di sublime e di pittoresco: due categorie estetiche, due facce della stessa medaglia, che altro non è che la cartina di tornasole di cui dispongono questi nuovi artisti, poeti, studiosi o semplici curiosi, per definire “un itinerario in cui non è più la bella natura artistica a dominare la scena”; almeno non solo quella, perché con stupore e meraviglia ci s’imbatte anche nella “componente orrifica del sublime”. E non è il bello armonico di greca memoria, e non è la bellezza che faceva da traino all’oggettivazione del gusto.“Perché il sublime - è la disamina di Gaetano - trae il suo fondamento nei sentimenti di paura e orrore suscitati dall’infinito, dalla potenza, dal vuoto, dall’oscurità, dalla solitudine desertica all’isolamento silente”; è insomma “un luogo mentale dove si incendiano le passioni, i deliri di fronte ai più grandiosi spettacoli della natura”. Tanto è lambita la fiamma dell’interpretazione da uno sguardo che non vuole più trasmettersi in mera rappresentazione, in precisa auto-raffigurazione, in mero riflesso geometrico, che “nel disordine spontaneo della natura” quegli occhi nuovi colgono la bellezza in quello che di imperfetto la natura sa accogliere - non necessariamente bello e non per forza buono -, restituendo al viaggiatore pittoresco la visione di “un’opera d’arte stabilmente da ricreare”. Queste le profonde riflessioni che, in una forzata sintesi, si colgono preziose nel saggio introduttivo alla traduzione del Viaggio Pittoresco del Saint-Non; pensieri espressi principalmente intorno all’esperienza straordinaria del Grand Tour, evento storico e antropologico letto dal professor Gaetano come risposta di evasione, anche teoretica, alla pedante e perentoria impronta della ragione illuminista: “un inebriante, ludico esercizio della vista”, è la definizione congeniale che lo studioso imprime ad un incontro con la natura e con l’altro; un confronto, sì, sempre “frequentato dallo spettro delle interrogazioni”, ma pur sempre “lasciato libero di contemplare”. Preme sottolineare questa particolare facoltà di percezione del mondo e dei suoi paesaggi umani e ambientali, perché altrimenti non si riesce a cogliere la vera novità del Viaggio Pittoresco, percorso di scoperta in cui non si lasciano banalmente esplorare le emozioni a briglia sciolta, ma si compiono altresì dei “severi resoconti scientifici”, in un connubio tra “una natura pacificata e un’altra che genera paura e sgomento, ricordando costantemente all’uomo la precarietà della propria esistenza”.Ma anche nel ricordare all’uomo che è creatura tendente alla fine, lo si pone davanti allo spettacolo immortale della bellezza, di un paesaggio - come quello italiano di metà settecento - che anche se lascia estraniato la piccola creatura temporale, gli riconosce comunque una certa dose di eroicità in quel suo provare stupore davanti a ciò che qualsiasi altra creatura avrebbe potuto considerare ordinario e insignificante, o magari, come nel caso del sublime, addirittura orribile. L’Italia era considerata destinazione privilegiata del grande viaggio, “sia per l’ingente eredità classico-rinascimentale, sia per le sue città senza tempo sempre vivacizzate da rutilanti feste e balletti, sia per la ricchezza dei paesaggi bucolici”. Gli attenti e intraprendenti viaggiatori europei mostravano interesse soprattutto per il patrimonio artistico, naturale e culturale del Mezzogiorno, e in particolar modo della Calabria, che agli occhi curiosi e lirici di Denon e compagnia danzante, “appare disordinata e spettacolare, maestosa e decadente, ricca di mercanti e di gente che s’ingegna a campare come meglio si può”. Sembra quasi di rivedere i tratti di un’effigie attuale, di un ritratto appeso tra le pareti di una cronaca quotidiana, in cui si rilevano tracce di antica grandezza che però, ahinoi, finiscono poi per affollare un triste destino di passaggi.
Raffaele Gaetano, dicevamo poco più su, introduce il Viaggio con una prosa ricercata ed elegante, come d’altronde ci ha sempre abituato nei suoi scritti; e del resto la stessa prosa di Denon è imbastita di preziose e ovattate deposizioni, parole come liriche di pennello dinanzi a momenti di sublime che tolgono il respiro: parole che figurano sulla pagina, quasi a voler prescindere dai ritratti espressi dai vedutisti a cui si accompagnava. “Non gli mancavano penne d’oca, inchiostro, album da disegno per costruire immagini finalizzate al racconto”; non gli mancava quella verve (da vero e ispirato cronista) che gli permetteva di ricomporre miracolosamente l’identità e il pullular di vita di un determinato luogo, di riproporre la bellezza nascosta tra i vicoli di una cittadella povera e mortificata, riuscendo a scorgere dovunque - anche laddove la bellezza sembrava fosse inenarrabile assenza - la tenerezza anche in un breve sussulto di gloria. Eppure, non è il quadro e non è la parola che restituiscono oggi il senso e il significato estetico di quei percorsi, ma il pennello e la mano, e prima ancora gli occhi, occhi che valicano, occhi che sbirciano oltre e che scrutano attraverso. Perché “tutti possono osservare i luoghi, ma pochi sanno vederli con l’anima”. da "Il Lametino" n.192, ottobre 2012
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