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Con Salvatore Borsellino per la verità sulle stragi di mafia del 1992 e 1993

Creato il 14 dicembre 2012 da Veritaedemocrazia
  Con Salvatore Borsellino per la verità sulle stragi di mafia del 1992 e 1993
da Micromega
"Chiamiamo tutti i cittadini che hanno il coraggio, come Antonio Ingroia, di dichiararsi 'partigiani della Costituzione', a scendere in piazza a fianco dei magistrati del pool di Palermo per gridare la nostra voglia di Giustizia, di Verità e di Resistenza". Pubblichiamo l'appello di Salvatore Borsellino per la manifestazione "Noi sappiamo" di sabato 15 dicembre a Roma (Piazza Farnese, ore 15), promossa dal movimento delle Agende Rosse in collaborazione con MicroMega e il Fatto quotidiano.

di Salvatore Borsellino

Ci sono dei momenti nella vita di una nazione in cui non si può stare alla finestra a guardare quello che succede fuori sperando che qualcosa cambi, che le cose vadano nella maniera in cui noi desidereremmo che vadano. Ci sono momenti in cui è necessario mettersi in gioco e dare, ciascuno di noi, il nostro contributo nella difesa dei valori in cui crediamo e che vogliamo trasmettere ai nostri figli. Stiamo attraversando un momento particolare della nostra storia, e non soltanto per quella crisi economica che sta lasciando a terra migliaia di famiglie, che sta inghiottendo nel gorgo della disoccupazione, dell'indigenza, della povertà centinaia di migliaia di persone, che sta ponendo davanti agli occhi dei nostri giovani lo scenario di un incerto futuro di precarietà, ma perché, per la prima volta nella storia del nostro paese, ad opera di alcuni magistrati coraggiosi che per questo rischiano quotidianamente la propria vita, lo Stato sta trovando il coraggio di processare se stesso.
C'è un peccato originale alla base di questa che chiamano "seconda repubblica", una scellerata "trattativa" tra pezzi dello Stato e quello che dovrebbe essere l'antistato, la criminalità organizzata, e che invece, come un tumore lasciato crescere senza contrasto, sta alterando il DNA della nostra società corrompendola fino ad uno stadio che ha, ormai da tempo, superato il livello di guardia.
Sull'altare di questa trattativa è stata immolata la vita di Paolo Borsellino, è stato versato il sangue dei ragazzi che gli facevano da scorta, sono stati sacrificati, per alzarne il prezzo, i martiri di Via dei Georgofili e di via Palestro.
Per mantenere su di essa il segreto, per impedire che venisse alla luce, c'è stata una congiura del silenzio che è durata vent'anni e che ha coinvolto centinaia di personaggi della politica e delle istituzioni, da ministri a più o meno oscuri funzionari, che, o vi hanno partecipato, o sapevano ed hanno taciuto diventandone quindi complici.
C'è stato un depistaggio, scenario ricorrente nei processi di tante stragi che, a buon diritto, possono essere chiamate "stragi di Stato", che ha falsato, in successivi gradi di giudizio fino a quello definitivo, il processo sulla strage di via D'Amelio.
Quando finalmente l'opera instancabile di alcuni magistrati, le rivelazioni di nuovi collaboratori di giustizia, hanno cominciato a squarciare il velo di questo mai posto e per questo più ferreo "segreto di Stato", sono cominciati i muri di gomma, gli attacchi concentrici, la vera e propria guerra scatenata contro i componenti di quel pool di magistrati che hanno dedicato anni della loro vita al raggiungimento della Verità e della Giustizia.
Dalle più alte istituzioni della nostra Repubblica io mi sarei aspettato che a questi magistrati arrivassero incoraggiamenti, auspici a che questa strada continuasse a essere percorsa e nella maniera più rigorosa e diretta possibile che venissero spianati gli ostacoli che si frapponevano sulla difficile strada della Verità.
Al contrario ho dovuto leggere con raccapriccio sulla stampa di intercettazioni in cui ad un indagato in questo processo, un indagato che si lamentava al telefono per essere stato lasciato solo, l'ex ministro Mancino, veniva, non so se a torto o a ragione, promessa la benevolenza e l'attenzione della più alta Istituzione del nostro Stato.
Fino all'ultimo atto, quello in cui, per impedire la paventata divulgazione delle intercettazioni che, in maniera casuale riguardavano lo stesso Presidente della Repubblica, a cui lo stesso Mancino si era in più di un'occasione rivolto, viene sollevato un conflitto di attribuzione contro la Procura di Palermo, che per le sue possibili conseguenze, rischia di essere il più grave ostacolo sull'iter di un processo dal quale ci aspettavamo quella Verità finora attesa invano per venti anni.
Perché questa ansia, quasi questo panico sul contenuto di queste intercettazioni e sulla possibilità che l'opinione pubblica ne venga a conoscenza? Forse contengono dei giudizi di merito su dei magistrati, su dei parenti di vittime che a voce troppo alta continuano a gridare la loro rabbia per una verità occultata? Giudizi che sono accettabili da parte di un comune cittadino ma che sarebbero censurabili se provenienti dal Presidente di tutti gli italiani?
Io non credo, non voglio credere e non posso credere che sia così, ma è proprio per poterne dissipare anche soltanto il sospetto che potrebbe restare nell'animo di un solo cittadino italiano che la stessa Presidenza della Repubblica dovrebbe chiedere la divulgazione del testo di queste intercettazioni.
Anche perché per quanto riguarda direttamente me, fratello di Paolo Borsellino, mi è già sufficiente essere stato escluso, insieme con mia sorella Rita, dal novero dei parenti di Paolo nel messaggio inviato dalla Presidenza della Repubblica all'ANM il giorno 19 luglio di quest'anno, nel ventennale della strage. Ma questa stessa sorte forse toccherà ora, per le sue manifestazioni di sdegno nei confronti dell'imputato Nicola Mancino, anche ad Agnese, la moglie di Paolo, alla quale, insieme con il figlio, quel messaggio era stato rivolto.
E adesso è arrivata anche la decisione della Consulta su questo conflitto di attribuzioni, sentenza della quale non si conoscono ancora le motivazioni, ma che sembra non colmare il vuoto legislativo o indicare una corretta interpretazione della Costituzione riguardo alle casuali intercettazioni riguardanti il Presidente della Repubblica.
Sempre che di un vuoto si tratti e non di un esplicito silenzio per confermare l'eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge.
E mentre fa riferimento ad un inapplicabile, in tale caso, articolo 271 del codice di procedura penale, a meno che in quelle telefonate Mancino non pensasse di rivolgersi al suo avvocato o al suo confessore, la sentenza non manca di censurare pesantemente l'operato della Procura di Palermo che invece ha agito applicando rigorosamente le leggi esistenti come dimostra il fatto, unico nel nostro paese per quanto riguarda le intercettazioni, che di queste non è venuta fuori neppure una riga.
A fronte di questa deriva, a fronte di queste continue invasioni di campo del potere legislativo ed esecutivo su quello giudiziario, per dimostrare a questa classe dirigente che non siamo tutti assopiti, neutralizzati, assuefatti, che abbiamo ancora la forza di reagire, noi non resteremo a guardare.
E lo facciamo come passo successivo e conseguente a quella plebiscitaria sottoscrizione che ha portato decine di migliaia di cittadini a scrivere il proprio nome sotto un appello a sostegno di questi magistrati.
Noi crediamo che un firma non sia sufficiente, noi chiamiamo tutti i cittadini che hanno il coraggio, come Antonio Ingroia, di dichiararsi "partigiani della Costituzione", a scendere in piazza con noi e a gridare, sfidando anche la probabile inclemenza del tempo, la nostra voglia di Giustizia, di Verità e di Resistenza.
Insieme a me, ai giovani e ai sempre giovani delle Agende Rosse e a tutte quelle persone che, sin da ora hanno deciso di non tacere, di prendere una posizione e venire a portarci la loro voce e il loro cuore.
Insieme a Marco Travaglio, a Luigi De Magistris, a Ferdinando Imposimato, a Sonia Alfano, a Sabina Guzzanti, ad Aldo Busi, ad Antonio Padellaro, a Marco Lillo, a Vauro Senesi, a Moni Ovadia, a Silvia Resta, a Sandra Amurri, a Fabio Repici, a Daniele Silvestri, a Manuel Agnelli e a tanti altri, che sabato 15, a Roma, in Piazza Farnese hanno accettato con entusiasmo di essere insieme a noi.
Dimostriamo a questa classe dirigente, al paese, a noi stessi, che siamo ancora capaci di alzare la testa.
A fianco dei magistrati del pool di Palermo.
Info : 19luglio1992.com - facebook

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