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Conan il batterio e i suoi amici dell’Antartide

Creato il 27 novembre 2010 da Stukhtra

Resistono quasi a tutto e potrebbero sopravvivere anche su Marte

di Alessia Patrucco

Chi di noi resisterebbe un giorno su Marte? Nessuno. Troppo freddo. E, se anche resistessimo al freddo, ci sarebbero le radiazioni ionizzanti a eliminarci. Infatti sul Pianeta Rosso le condizioni sono estreme. La radiazione solare non è schermata da un’atmosfera abbastanza spessa e l’assenza di campo magnetico non protegge dal bombardamento dei raggi cosmici. In teoria, su Marte non potrebbe vivere alcuna forma di vita presente attualmente sulla Terra. Eppure…

Eppure esiste un batterio già noto per la sua resistenza a condizioni ambientali incredibilmente ostili: Deinococcus radiodurans. Così resistente da essersi meritato il soprannome di “Conan il batterio”, è uno dei microrganismi più resistenti al mondo. Appartiene infatti alla categoria dei batteri estremofili, cioè resistenti a condizioni ambientali estreme, ostili per quasi altra ogni forma di vita. In particolare riesce a sopravvivere a temperature glaciali e all’esposizione a radiazioni ionizzanti migliaia di volte superiori al limite letale per l’uomo.

Conan il batterio e i suoi amici dell’Antartide

I raggi gamma gli fanno il solletico. (Cortesia: M. Daly/USU)

Deinococcus radiodurans venne scoperto nel 1956 da Arthur Anderson presso la Oregon Agricultural Experiment Station durante un esperimento di sterilizzazione del cibo in scatola con alte dosi di raggi gamma. Dopo aver esposto una scatoletta di carne alle radiazioni, Anderson trovò inaspettatamente qualche superstite: era lui, Deinococcus.

Ma Conan, dato che ormai è un microrganismo “umanizzato”, si sarà fatto anche degli amici? Non si sa, però potremmo proporgli uno speed date con tipi simili a lui, ad esempio Brevundimonas, Rhodococcus e Pseudomonas. Ora Lewis Dartnell, dell’University College di Londra, e i suoi colleghi si sono divertiti a vessare questi batteri, fra i più resistenti del nostro pianeta, sottoponendoli a condizioni estreme simili a quelle presenti su Marte. Volevano capire se esistono forme di vita sulla Terra che potrebbero, almeno in via teorica, sopravvivere in ambienti extraterrestri.

Nel lavoro del team di Dartnell, descritto in un articolo su “Astrobiology”, alcuni nuovi ceppi appartenenti a questi potenziali amici di Conan sono stati isolati nelle valli più aride dell’Antartide: zone che a causa della scarsa umidità e della bassa temperatura sono fra i deserti più estremi al mondo, analoghi ambientali alla superficie marziana. Poi Conan e gli altri sono stati sottoposti a radiazioni ionizzanti e a temperature estreme, sia calde sia fredde. Ebbene, la ricerca ha verificato l’incredibile resistenza alle radiazioni di Deinococcus radiodurans, ancora amplificata se il batterio viene mantenuto a 79 gradi sotto zero.

Il meccanismo per cui le radiazioni sono dannose è la formazione di radicali liberi, cioè specie chimiche che possono danneggiare un organismo e in particolare il suo DNA. Queste specie chimiche, in generale, hanno più forza nell’agire se si fornisce energia termica. Quindi il calore favorisce il danno all’organismo e, viceversa, le temperature molto basse riducono gli effetti negativi dei radicali liberi. La resistenza di Deinococcus alla distruzione del DNA da parte dei radicali liberi è dovuta sia al possesso di copie multiple del genoma sia al rapido meccanismo di riparazione Paragonando le molecole di DNA alle banconote, è come se avessimo un capitale dislocato in più banche e banconote che si ricostruiscono perfettamente se vengono stracciate. Quindi il batterio può riassemblare più volte il proprio DNA dopo il danno indotto dalle radiazioni.

I ricercatori hanno concluso che, se i ceppi antartici venissero collocati 30 centimetri sotto la superficie di Marte, potrebbero sopravvivere 100 mila anni prima di vedere la propria popolazione ridotta di un milione di volte. Inoltre hanno scoperto che questi batteri sono imparentati con quelli trovati talvolta nella camere bianche dei centri spaziali statunitensi. Qualcuno potrebbe concludere allora che da lì i batteri potrebbero migrare altrove trasportati da qualche missione interplanetaria della NASA, ma gli scienziati dell’agenzia spaziale negano risolutamente. Si dicono anzi assolutamente impegnati nell’evitare qualunque tipo di contaminazione del suolo extraterrestre, perché un solo evento colonizzatore potrebbe compromettere per sempre la possibilità di studiare la vita su altri pianeti.

Speriamo che questi batteri non si evolvano come patogeni dell’uomo. Certo, avremmo sempre gli antibiotici. Ma non è bello pensare che un giorno i discendenti di Conan e dei suoi amici potrebbero ritrovarsi a formulare teorie sull’estinzione della specie umana, come noi abbiamo fatto con quella dei dinosauri.


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