Magazine Cinema
A capo di una spedizione che ricorda la Compagnia dell'anello in minore, il nostro barbaro preferito dovrà superare numerose prove mortali prima di arrivare al confronto finale con Taramis e la sua divinità impazzita.
In più occasioni mi è capitato di parlare dell'annosa questione rispetto all'effettiva qualità dei sequel cinematografici, spesso e volentieri neppure lontanamente all'altezza delle pellicole originali.
Il caso di Conan il distruttore rientra perfettamente nella categoria: voluto fortemente da Dino De Laurentiis, memore dell'enorme successo avuto dalla pellicola precedente con protagonista il ruvido barbaro interpretato da Schwarzenegger, manca completamente dello spessore dato alla prima pellicola dalla regia di Milius e dalla sceneggiatura dello stesso regista e Oliver Stone, e seppur salvato da un paio di personaggi azzeccati e da una certa (auto)ironia dello stesso Schwarzy, resta di fatto un'opera destinata ai soli fan hardcore del personaggio o a tutti quelli che, da bambini, rimasero ammirati dallo spirito quasi goliardesco di questo secondo capitolo ed ora lo riguardano con affetto, senza pensare ai numerosi limiti che indiscutibilmente presenta.
Ricordo che, ai tempi delle elementari, mi divertiva molto di più schiaffarmi Conan il distruttore che non Conan il barbaro, senz'altro più truce, violento, profondo e, se vogliamo, "lento" rispetto all'avventura di questo sequel, strutturato quasi come un videogame a livelli: in particolare, ricordo quanto la parte del confronto con il mago ed il suo mostro nella sala degli specchi mi facesse letteralmente impazzire - in qualche modo, affetto o amarcord dei bei tempi andati, penso abbia quasi lo stesso effetto anche ora -.
Il personaggio di Conan, privato di quell'alone da (anti)eroe solitario e disperato, testardo e legato alla forza della sua volontà, assume i connotati di una sorta di ipertrofico superuomo dei tempi antichi, e vira sull'involontariamente comico in più di un'occasione.
Al fianco di Schwarzy in questo viaggio irto di pericoli a cercare di salvare il salvabile e portarsi a casa la pagnotta, una galleria di caratteristi affiancati da personaggi più famosi al di fuori del mondo del Cinema che non sul grande schermo come Grace Jones - indimenticabile la sua Zula, uno dei pochi charachters azzeccati di questo sequel - e Wilt Chamberlain, storico asso dell'Nba ed effettiva nemesi di Conan nel ruolo del capitano delle guardie di Taramis, Bombaata.
A completare le guest stars illustri, pur se non accreditato, l'indimenticato wrestler Andrè the giant, che vestì i panni di Dagoth, divinità furiosa, nella sua incarnazione mostruosa per la battaglia finale che lo vede opposto al nostro cimmero preferito.
Se dovessi ragionare solo con la testa, dovrei bottigliare l'opera di Richard Fleisher - uno dei mestieranti più prolifici della Hollywood degli anni cinquanta, sessanta e settanta - menando colpi neanche fossi Conan stesso per aver di fatto snaturato tutte le caratteristiche principali di quello che sarebbe potuto divenire un personaggio di culto senza incorrere nelle malelingue dei radical chic che continuano a relegarlo al limbo dei dimenticabili eroi action dell'epoca.
Eppure non riesco proprio a non sentirmi legato ad uno dei film che più allietò i miei pomeriggi d'infanzia, quando scoprivo ad ogni visione tutta la potenza della meraviglia che il Cinema era in grado di indurre nello spettatore.
E anche ora, con Conan prigioniero nella sala degli specchi e attaccato dal mostro, o intento a posare con la spada allo scopo di intimorire le guardie mandate per ucciderlo, un brivido d'emozione mi percorre la schiena, ripensando a quando, ormai quasi vent'anni fa, sognavo di poter vivere, un giorno, avventure incredibili come quella.
MrFord
"Rise, know the strength that you feel.
Hold in your heart but never reveal.
You were called by the Gods, their powers to wield.
Guard well the secret of steel."
Manowar - "The secret of steel" -
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