Magazine Diario personale

Conati, ringhiere e poco altro

Da Scorretoblog
Alzo lentamente la testa dal secchio del mocio inondato di vomito e di quello che pochi minuti prima doveva essere jack daniel’s. La donna delle pulizie mi odierà per questo. Cerco di reggermi con la mano sinistra al muro che si trova di fianco a me e barcollo, riuscendo ad alzarmi non senza qualche difficoltà. È in questi casi che vorresti una stampella per l’anima. Tergiverso nel guardare la prospettiva del lungo corridoio attraverso i miei occhiali da sole e avanzo, un piccolo timido passo dopo l’altro, la mano sinistra che accarezza il muro ruvido, piegato leggermente in avanti quasi a cercare un appoggio che non c’è. Supero la stanza 107, che è quella subito dopo la 106, e poi muovo il culo oltre la 108, la 109 e la 110. Arrivo chissà quando e chissà dove e mi affaccio da un balcone ornato da una ringhiera non molto alta che non riesce proprio a scoraggiarmi. Soffoco un conato di vomito e mi cimento nell'impresa di scavalcarla. Un paio di tentativi qui, un piede là, una mano lì, cerco di appigliarmi qui e mi sorprendo a volare con una bottiglia ormai quasi vuota di jack stretta nella mano destra avida e chiusa a pugno. Mi sembra di ricordare che feci pure in tempo a bere un ultimo sorso prima di decorare, con un certo buon gusto, il giardino del 1156 Leonis Boulevard di organi e frattaglie varie. Il rapporto stilato in tutta fretta (e con un’orribile calligrafia) dall’agente semplice Maxwell, novellino neo-assunto dalla corrottissima polizia di Los Angeles, descrive sommariamente in diciassette righe e mezzo la tragica fine di una bottiglia di jack daniel’s, orrendamente frantumata in mille pezzi che risplendono dell’ultima luce del tramonto della California a fianco dei miserabili cocci di un tale anonimo, sulla trentina, che di colla, nella sua vita, non ne aveva mai trovata.

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