Sono di nuovo qui a parlare di storie, le vostre storie.
L’obiettivo è quello di raccogliere – e solo chi semina può farlo – stando attenti a non ritrovarsi tra le mani solo fogliame secco da buttare al vento. La storia è quella di ciascuno di noi, vista da una prospettiva nostrana. La mia storia è questa:
Quella mattina avrei dovuto alzarmi alle sette ma non ce l’ho fatta, sono stata un’idiota a farmi sopraffare così dal sonno, di punto in bianco, il punto in bianco delle lenzuola di lino, un punto a croce eccezionale. Me lo cucì un’anziana signora quando abitavo a mare. Venne apposta sott’acqua a portarmelo, mi disse “Copriti, che c’è corrente“. C’era corrente, come ogni inverno, l’acqua era gelida, c’era l’alta marea e il mare cominciava a tremare.
Ho abitato quel posto freddo e umido per circa quattordici anni, poi mi sono trasferita qui, sotto al tavolo. Non tutti avevano la possibilità di abitare un tavolo fino a qualche anno fa, io l’ho avuta grazie al controllore del treno che quando venne a chiedermi il biglietto, sapeva che ero alla ricerca di un tetto, e mi disse che tetti non ne aveva ma che se non avevo particolari pretese aveva un tavolo fatto dal padre che era artigiano. Accettai e gli diedi il biglietto dicendogli che sarei scesa nella fermata di partenza. È stato un lungo e intenso viaggio, ma non ho mai visto così tanti posti in una sola giornata. La signora che sedeva di fronte a me mi disse che sono stata fortunata a trovare un tavolo che con i tempi che corrono sua cugina si era dovuta accontentare di una sedia.
Oggi il tavolo non lo abita più nessuno. La gente preferisce i libri, con il rischio di letterosi apatica, quella malattia che viene a contatto con le lettere per molto tempo. Sono stata fortunata che non ho preso la letterosi apatica, ma rischio di beccarmi la legnite.
Ad essere sincera non sto sempre sotto al tavolo, ogni tanto esco e mi faccio lunghe passeggiate con la mia vicina di tavola. È una diciottenne che fuma un sacco e – gliel’ho detto – qualche giorno rischia di morire carbonizzata. Ma per fortuna ha messo l’antincendio alla sua tavola, così quando rischia di bruciare lo avverte prima. Lei mi racconta sempre di quando abitava nelle Mollette. Diceva sempre che la sua vita era appesa a un filo, e io ridevo sempre perché non sapevo cosa si provasse ad abitare le mollette. Era una tipa simpatica, le cucinavo sempre l’inchiostro alla candegina che le piaceva tanto: il trucco era far bollire l’inchiostro e a parte far soffriggere la candegina che una volta messa nell’inchiostro non andava tenuta a lungo altrimenti si rischiava di rimanere senza inchiostro, e la candegina da sola non ha un buon sapore.
Comunque poi è morta, e mi sono sentita sola in quel periodo, non pensavo di sentirne così tanto la sua assenza.
Alla fine mi sono decisa e ho comprato una casa.
Le storie non hanno senso solo se sei tu a non darglielo. Nella nostra testa si immagazzinano più di centomila storie del genere. La scrittura non è matematica e quindi non ha bisogno di logica. Scappa, quando siamo impegnati a salutare gli altri; si nasconde quando siamo occupati a riflettere su noi stessi e non torna quando abbiamo già chiuso la porta dell’assurdo.
Adesso me ne sto qui ad aspettare le vostre storie, e mi compiacerò nel leggerle perché nessuno oggi si permette più di scrivere in assurdo, si preferisce l’italiano.
Questo viaggio si chiama “l’assurdo è un piatto che va servito con il cucchiaio del caffè“. Memorizzatelo e inviatemi la vostra storia assurda.