Carlo Cosco, condannato in primo grado all'ergastolo per l'uccisione di Lea Garofalo, ha confessato - nella prima giornata del processo d'appello - l'omicidio della testimone di giustizia calabrese. " Mi assumo la responsabilità dell'omicidio - e ancora - Merito l'odio di mia figlia perché ho ucciso sua madre. Prego di ottenere un giorno il suo perdono", ha detto Cosco davanti ai giudici. Denise Garofalo, si è costituita parte civile nel processo contro il padre. Le dichiarazioni della ragazza hanno dato un contributo fondamentale alle indagini.(su scirocconews)
Appena sentita la notizia mi sono chiesta subito il perchè, da parte di Cosco, di una simile confessione, che non ritengo rintracciabile in un sincero e spontaneo pentimento, vista anche la tracotanza con la quale per anni e fino a ieri, non sono state risparmiate bugie e meschinità. Un'amica mi ha subito detto che E' anche vero, sulle ragioni non c'è dubbio: a fronte di una confessione anche un ergastolo permette, per buona condotta, di non marcire in carcere. la sorella di Lea, come ha detto Marisa Garofalo , che la confessione di Cosco potrebbe essere un modo per scagionare altri soggetti che hanno avuto nell'assassinio di Lea un ruolo di non poco conto. Poi, ci sono i "messaggi" contenuti nella dichiarazione di Cosco, e mi soffermo su uno in particolare, che ieri mi era apparso nella mente come un lampo prima ancora di sentirlo. Cosco dice " [...] inconcepibile e incomprensibile che mia figlia Denise sia sotto protezione. Da chi, da me? [...]". Quindi, avendo confessato e prendendosi la responsabilità di tutto, Cosco dice apertamente che Denise non ha più bisogno del sistema protezione.
"Sappia Carlo Cosco che nessuno lo perdonera' mai per quello che ha fatto." dice Marisa, ed io sono con lei e Denise. Sento il peso di una responsabilità collettiva che mi atterrisce e che vorrei fosse sentita fino in fondo dalle Istituzioni .
p.s. il giornalista chiama Lea "pentita". Era una testimone di giustizia, la differenza è notevole e questa ennesima superficialità mi indigna.