Luca, l’adolescente protagonista di Notte prima degli esami, non c’è più. Scomparso anche Riccardo, il “figlio di papà” universitario di Come tu mi vuoi. Nicolas Vaporidis, che ai due personaggi ha dato vita pur non essendo esattamente un ragazzino nonostante il viso pulito, a 32 anni abbandona momentaneamente il set cinematografico per debuttare sul palcoscenico diventando Luciano detto “Diecilire”, un balordo tossicodipendente e truffatore assiduo frequentatore di uno sfasciacarrozze nella Roma degradata degli anni ’70. Lo spettacolo è Lo sfascio con la regia di Gianni Clementi, in tournée in Sicilia dal 9 al 19 gennaio con debutto a Enna e ultime date a Messina con passaggio ai Viagrande Studios il 15. «Come mai sono passato dal cinema al teatro? Piuttosto che come mai, dico “Perché no?!” – attacca Vaporidis -. Fare l’attore è il mio mestiere. Posso recitare davanti a una telecamera oppure in un teatro davanti al pubblico».
Che spettacolo è Lo sfascio?
«È una commedia amara nella quale si ride delle situazioni, delle disgrazie dei protagonisti, del loro modo goffo di cercare di superare i problemi. Rappresenta un luogo di rottamazione fisica, ma anche la metafora di quella rottamazione morale che comincia a nascere proprio negli anni ’70 con la costante ricerca della ricchezza; il malessere interiore che diventa violenza fisica, rabbia, prepotenza; quel vivere di mezzucci sulla linea di confine tra la legalità e l’illegalità in un Paese dove quest’ultima non viene mai condannata; il maltrattamento della donna considerata un oggetto. In qualche modo raccontando gli anni ’70, raccontiamo i nostri giorni, quelli della crisi che ci sta massacrando. E anche il pubblico sembra condividere questa lettura nonostante le scene molto dure (lo spettacolo è consigliato a un pubblico di età superiore ai 16 anni, ndr)».
Come si è calato nel personaggio di “Dieci lire”?
«Mi sono ispirato a un sorcio, perché “Dieci lire” doveva essere fastidioso. È lo stereotipo di una Roma che in qualche modo conosco anche se non l’ho vissuta direttamente. “Dieci lire” è uno che si venderebbe per poco, disposto a tutto pur di ottenere qualcosa, un uomo senza alcun codice morale. C’è in “Dieci lire” quella leggerezza insita nel Dna di una certa romanità, quel farsi scorrere tutto addosso».
Niente in comune con lui?
«Assolutamente no. Però in qualche modo è nata un’empatia del pubblico col personaggio. Non si riesce mai a condannarlo senza appello non perché si giustifichino le sue azioni, ma perché ne si comprende la disperazione. Anch’io mi sono affezionato alla sua miseria».
Per lei è la prima esperienza importante in teatro?
«Lo considero il mio reale debutto sul palcoscenico. Nonostante abbia imparato le fondamenta del mestiere attoriale sul palcoscenico, poi ho esordito al cinema che è uno strumento completamente diverso. Diciamo che ho cambiato campo di gioco, ma lo sport praticato è lo stesso, non è che stia cantando o ballando. L’importante è selezionare i progetti».
Come ha selezionato Lo sfascio?«Mi era capitato di leggere la sceneggiatura di Clementi qualche anno fa e me ne sono innamorato. Mi ero detto che avrei voluto provare a montarlo, l’ho fatto e adesso siamo in scena. Stiamo lavorando anche alla stesura di un progetto per il cinema».
Tornando al canto, lei per qualche tempo ha preso lezioni. Come sono andate?
«Sotto la doccia canto che è una meraviglia (ride). Ho preso lezioni perché penso che avere più frecce al proprio arco sia una cosa importante. Ma il mio obiettivo non è andare al Festival di Sanremo, vorrei soltanto essere degno se mai mi capitasse di dover cantare in scena».
Quanto è importante essere degno del proprio pubblico?
«Direi che è fondamentale. La mediocrità non mi piace: né da attore, né da spettatore. La concentrazione per un attore deve essere sempre al 101%. Il pubblico, che paga un biglietto per venire a teatro, merita il massimo rispetto e l’improvvisazione per un attore deve essere bandita».
Un bisogno che si sente ancora di più oggi in tempi di crisi?
«Sarebbe lo stesso anche non lo fossimo. Oggi, però, bisogna essere più attenti, come attori occorre scegliere progetti che ci rappresentino realmente. Non recitare solo perché siamo pagati».
La crisi tocca profondamente anche il mondo dello spettacolo…
«Così come tocca tutti gli altri settori dell’economia italiana. L’industria cinema ne risente, anche se l’ultimo periodo d’oro è stato quello degli anni Sessanta. Oggi si preferisce investire altrove. Del resto non sono stati alcuni ministri italiani a dire che di cultura non si vive? Questo è un dramma perché un Paese moderno con la cultura dovrebbe formare e arricchire le nuove generazioni».
A parte un mestiere, a lei cosa ha dato la cultura?
«Consapevolezza, apertura mentale, visione ideologica, politica e sociale. Attraverso la cultura il mondo si guarda con occhi diversi. Il teatro nasce come rito collettivo per mettere in piazza ed esorcizzare paure e parlare di cose difficilmente confessabili, mettere in discussione la società. I Governi, sin dall’antica Grecia, finanziavano il teatro perché toccava corde importanti della popolazione. Oggi, purtroppo, è diventato solo entertainment».
La Sicilia è una delle culle del teatro…
«Infatti non vedo l’ora di arrivare. E’ stato amore a prima vista sin dalla mia prima volta a 3 anni a Favignana. Mi piace Taormina, Palermo, Catania che tra tutte è quella che preferisco. Ma l’Italia, dalla Val d’Aosta alla Sicilia, è una culla di cultura. Purtroppo ce ne siamo dimenticati e abbiamo utilizzato il nostro sapere in modo “furbo”. Noi utilizziamo male le nostre risorse, il passato, la cultura. Il risultato è quello davanti agli occhi di tutti: il nostro presente è cambiato in peggio in ogni ambito possibile, dall’arte alla politica».
A proposito di politica, lei ha detto di condividere la visione dei M5S…
«Non ho le competenze necessarie per discutere di politica in maniera professionale, ma come cittadino dico che il M5S mi piace per quel concetto di ribellione, di stanchezza verso lo status quo, verso una classe dirigente corrotta, bieca e incapace che ci ha portato alla deriva. Sono gli unici ad aver gridato a un cambiamento vero, poi sono nuovi e quindi non hanno ancora sbagliato. Tutti abbiamo bisogno di novità perché siamo disperati e stanchi di essere presi in giro».
In un’intervista di qualche anno fa ha confessato di celare ansie, rabbia, cattiveria e debolezze dietro una faccia da bravo ragazzo. È ancora così?
«Ogni attore che si rispetti non ha avuto una vita facile, sennò non avrebbe alcunché da dire. Io sono un irrequieto alla continua ricerca di qualcosa che non trovo e, a questo punto, spero di non trovare mai. Questo mestiere mi consente di indagare, di portare in scena personaggi carini, buoni o rabbiosi, spietati, crudeli senza pagarne le conseguenze».
Si riconosce nella sua faccia da bravo ragazzo?
«E’ la mia faccia. Sono una persona positiva. Non un dannato per definizione. Ma non sono un uomo facile, non mi accontento di quello che mi dicono. E sono lento, nel senso di riflessivo, non prendo decisioni affrettate».
C’è qualcuno a cui direbbe sì senza pensare?
«Se mi chiamasse Paolo Sorrentino, Darren Aronofsky, Martin Scorzese direi sì solo per il piacere di condividere una parte del mio percorso con loro. Poi però approfondirei perché non sono una marionetta».
Se si digita il suo nome su Google le prime due pagine di ricerche sono notizie su presunte crisi e riconciliazioni con sua moglie Giorgia Surina. Quanto è infastidito dal gossip?
«Ormai ci ho fatto il callo, fino a quando non lede la mia serenità va bene così. Il gossip è il sottoscala del giornalismo, è una forma maniacale e ossessiva di curiosità che va al di là dell’informazione».
Come vive il rapporto con il suo pubblico?
«Il mio è un pubblico intelligente e colto, abituato al mio modo di pormi. Ho una pagina Facebook, ma non metto in piazza la mia vita. Sono una persona riservata. Il mio ruolo di attore è pubblico, il mio privato non lo sarà mai. Se qualcuno tenta di intromettersi alzo le barricate».
Riservatezza a parte, si è speso in prima persona nella campagna contro la violenza sulle donne partecipando alla campagna Intervita
«Io sono contro la violenza e la prepotenza di ogni genere. Denunciare la violenza sulle donne la ritengo una lotta di civiltà e penso che riuscire a spostare anche solo di un po’ l’attenzione della società va bene. Non prendendo posizione si diventa complici. E’ bene manifestare la nostra opinione sui dibattiti importanti».
Nel dibattito sui matrimoni omosessuali qual è la sua posizione?
«Penso che mettere limiti all’amore sia arcaico. Chi ha deciso che l’amore vero deve essere solo tra uomo e donna. Che c’è di male a voler consolidare un’unione? Sono anche per l’integrazione sociale, la libertà di religione, di espressione, di essere persone oneste. Una parola di cui abbiamo dimenticato il significato. Oggi onestà pare fare rima con modestia e questo è tremendo».
@mariellacaruso @volevofare
(Pubblicato su Eventi Dicembre, allegato trimestrale al quotidiano La Sicilia)