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I.adolescenza amorale
si tratta di una classe di scuola media giapponese, quindi ragazzini intorno ai tredici, massimo quindici anni. ragazzini indifferenti, che schiamazzano senza freni mentre la loro prof apre il cuore e pronuncia, sommessa ma decisa, atroci parole di vendetta. vendetta contro i suoi alunni, il braccio ingenuo della crudeltà umana. ragazzini teoricamente liberi di agire irresponsabilmente, data la non-penalizzazione (e quindi non-carcerazione) dei ragazzi fino ai 14 anni d’età.
II.grazie per i biscotti
sembra una generazione destinata all’atomismo esasperato (ma non lo sono forse anche quelle prima?). che gode di una straordinaria ricchezza materiale, di prontezza intellettuale, alle volte, anche di talento. ma sembra anche una generazione che conosce solo tutto il male della civiltà odierna. si nasce, si vive, si muore soli. come Naoki, che è del tutto trasparante agli occhi dei suoi compagni, al massimo viene tacciato d’essere inutile; un ragazzo solo, il cui unico contatto è l’amorevole madre, onnipresente ma non possessiva, del tutto incapace, però, di ammettersi il delitto di cui è autore il figlio. quest’ultima sbatte come una mosca sulla finestra che cerca di uscire: non può comprendere ciò che c’è dietro al gesto, né immedesimarsi nell’immenso dolore della professoressa (per inciso, sua figlia aveva 4 anni). e allora, non riuscendo a comprendere, cerca di riempirsi l’anima seguendo il manuale della casalinga disperata d’inizio millennio, rimanendone, alla fine, vittima.
III.ludibrio da bombarolo
Shuya invece sembra un tipo interessante, ha una mente attiva ed è abile nel costruire cose. peccato che sia freddo e vuoto come i marchingegni che elabora. è un ragazzo che non ha conosciuto l’amore, di alcun tipo, in nessuna forma. conosce bene la meccanica, l’ingegneria, la fisica ma non ha idea di cosa significhi amare qualcuno (ed essere amato), e la dimostrazione sono le tragiche circostanze in cui muore la ragazza che di lui (incredibile a dirsi) si era innamorata: ai suoi occhi, lei era niente più che un oggetto, una cavia da laboratorio. l’unica cosa che Shuya brama è l’attenzione della madre ricercatrice, che non vede da anni; un sentimento che, però, non si può definire amore: si tratta di venerazione, di devozione forse: l’immagine che il ragazzo ha della madre è troppo lontana e distorta per essere amore. ma- come succederebbe se provassimo a togliere ad un religioso la sacralità, o la stessa fisicità, del dio del suo culto- quando la professoressa gli toglierà la madre, il ragazzo arriverà al grado zero emotivo, restando annichilito. ecco che per lui, forse, ha inizio la vera vita.
titolo originale: Kokuhakuun film di Nakashima Tetsuya2010
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