Abbiamo deciso di presentarvi una delle confraternite più attive sul piano storico, artistico e culturale nella città di Napoli: l’Augustissima Arciconfraternita della SS. Trinità dei Pellegrini e Convalescenti, che dal Cinquecento non solo svolge attività benefiche e religiose, ma possiede e rende fruibile un patrimonio culturale straordinario. Essa vanta un complesso museale, diretto da Antonio Dalnise e curato da Antonio Speranza, che è composto dalla Chiesa di Materdomini e quella della SS. Trinità dei Pellegrini con il suo coro, la Terra Santa, l’archivio storico composto da 1254 volumi e svariate sale e gallerie, visitabili da curiosi, appassionati e studiosi.
In questa prima parte andremo a raccontarvi l’origine della confraternita e la sua storia.
Il 25 luglio del 1578, riuniti nella chiesa di Sant’Aspreno, un artigiano di nome Bernardo Giovino e sette dei suoi colleghi napoletani decisero di dare vita ad un’arciconfraternita nella quale alla preghiera e al culto si affiancassero l’assistenza e l’ospitalità ai pellegrini. Un’Arciconfraternita dei Pellegrini si era formata ventotto anni prima a Roma, grazie a San Filippo Neri. Anche la confraternita napoletana, riconosciuta da papa Gregorio XIII, adottò lo stesso nome.
Uomini dal saio rosso come il sangue di Cristo iniziarono le prime opere di carità nel monastero di Sant’Arcangelo a Baiano presso Forcella, trasferendosi poi a San Pietro ad Aram (l’ingresso sul lato sinistro della chiesa, si trova su corso Umberto I).
Il numero dei benefattori che aiutavano la confraternita cresceva e tra questi spiccava la famiglia Pignatelli. Fabrizio Pignatelli fu cavaliere del Regno di Gerusalemme, difese Napoli dall’assedio dei francesi, liberò la Calabria dall’avanzata turca e sedò le rivolte nel Regno di Napoli. Infermo e indebolito dalle battaglie condotte, fece realizzare nel 1574 la cappella di Santa Maria Materdomini (come vedremo ancora visitabile) e progettò la costruzione di un ospedale sul terreno di sua proprietà a ridosso delle mura aragonesi, oggi in via Portamedina alla Pignasecca. Il nobiluomo morì nel 1577 e non riuscì ad assistere ai lavori del complesso. Tuttavia, nel suo testamento, lasciò la chiesa e una grande somma di denaro all’ospedale.
Fabrizio Pignatelli – monumento funebre eseguito da Michelangelo Naccherino
Gli esecutori testamentari affidarono l’eredità all’Arciconfraternita dei Pellegrini e il figlio di Fabrizio, Camillo Pignatelli, fu il promotore della fusione delle due istituzioni: Camillo conservava il patronato sulla cappella di Materdomini, l’Arciconfraternita entrò in possesso dell’ospedale (terminato nel 1591) e di alcuni terreni destinati alla costruzione di un loro oratorio (luogo di preghiera e di culto per uso privato di comunità religiose). La convivenza tra la famiglia Pignatelli e la confraternita non fu sempre pacifica e un contenzioso sulla proprietà di un giardino vide scontrarsi le due parti per ben centocinquanta anni. Nonostante questo, l’attività caritatevole proseguiva alacremente e anche quando la pratica del pellegrinaggio si affievolì, e con essa anche il numero dei pellegrini, l’ospedale, da luogo di accoglienza, divenne una struttura sanitaria a tutti gli effetti.
Nel decennio francese, e più precisamente nel 1809, l’ospedale fu chiuso a causa delle soppressioni degli ordini religiosi volute da Gioacchino Murat, ma il popolo napoletano non prese bene la decisione e per contenere eventuali rivolte, si decise di riaprire la struttura.
Alla fine degli anni sessanta del secolo scorso, lo Stato italiano costrinse l’Arciconfraternita a cedere l’ospedale alla proprietà pubblica.
Oggi l’Arciconfraternita risiede ancora nell’ospedale, in un complesso di inestimabile valore storico – artistico.