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30 luglio · ModificatoDall'io al cosmoI fisici parlano con i matematici, i matematici dialogano con Dio. E chi comunica con il “pubblico”? Galileo, al contrario di Bruno, aveva un’idea abbastanza precisa della divulgazione “scientifica”: la nuova scienza non poteva permettersi di ignorarla. La comunicazione diventava così un’esigenza strutturale dell’impresa scientifica. Oggi si comincia a parlare di “scienza di massa”; il che non significa affatto che la scienza sia insegnata a tutti, ma che i nuovi mezzi di comunicazione di massa (Internet) consentirebbero (il condizionale è d’obbligo perché si tratta di una possibilità), per la prima volta, la pubblicazione dei risultati delle ricerche senza il filtro delle revisioni critiche. Dove collocare il libro di Barrow?[1] Naturalmente nel grande fiume della divulgazione accuratamente filtrata; in altre parole al di sotto di Galileo, Cartesio, Newton (tutti scrittori di “talento”) e al di sopra della scienza “post-accademica” praticabile nella rete Internet.
Il libro di Barrow è una specie di miscellanea (anche se la rosa degli argomenti è abbastanza ristretta) che riunisce articoli di giornali e riviste specializzate, brevi saggi divulgativi, recensioni. Redatti in periodi differenti e stilisticamente disomogenei, gli articoli sono ripartiti in dieci sezioni. Ciascuna sezione è preceduta da un’introduzione che documenta le circostanze in cui gli articoli sono stati stesi. Dicevamo che la rosa degli argomenti è abbastanza ristretta. Di fatto si ragiona soprattutto di matematica (l’universo è matematico?), dell’origine dell’universo (Big Bang e teorie rivali), dell’origine della vita (dall’angolatura offerta dal cosiddetto principio antropico), della ricerca, nell’ambito della fisica, di una Teoria del Tutto (GUT), del rapporto fra scienza e religione (è di moda la scommessa di Pascal?), e scienza ed estetica (forse l’evoluzionismo le spiega entrambe). Nell’impossibilità di illustrare con dovizia di particolari il percorso delle variazioni attorno agli argomenti testé elencati, ci accontenteremo di esporre cinque di rilievi epistemologici. 1) Psicologia o epistemologia evoluzionistica. L’a priori kantiano, per Barrow equiparabile ad un “paio di occhiali con lenti rosa” (sic!), lascia aperte troppe domande; le risposte ce le fornisce quella specie di darwinismo filosofico che prende il nome di “epistemologia evoluzionistica”. Popper stesso sembra proporre l’adozione di un criterio di “selezione naturale” quando consiglia il suo metodo per tentativi ed errori (congetture e confutazioni). Ma per Barrow resta ancora molto da dire sulle “basi” di questa epistemologia evoluzionistica. Pertanto la filosofia della scienza non è una scienza. In ogni modo, l’epistemologia evoluzionistica giustificherebbe un certo realismo (ancora Popper?), perché, quando ne traessimo il corollario, la nostra visione del mondo sarebbe la conseguenza di un processo di evoluzione naturale. Ma questo è vero fino ad un certo punto: come si connette infatti l’evoluzione con la fisica delle particelle, i buchi neri e le leggi ultime della natura? Barrow conclude quindi che la fisica non sembra rispondere a un’esigenza evolutiva. La nostra capacità scientifica non sarebbe in questo senso che un prodotto collaterale degli adattamenti ambientali che possono non sussistere più: le menti dell’uomo si sono evolute per altri scopi. E tuttavia la mancanza di una stringente esigenza evolutiva a proposito della fisica (ma anche della matematica) ci porta a pensare che queste discipline non inventino, ma scoprano (come Cristoforo Colombo). In altre parole queste discipline non vedono condizionamenti evolutivi. 2) Semplicità e complessità. Il passo che, secondo Barrow, non avrebbero compiuto i filosofi è il seguente: non avrebbero compreso come da leggi semplici, basate sulla simmetria (cioè sulla conservazione di una qualche invarianza, tipo la carica dell’elettrone), possano derivare esiti complessi (complessità organizzate come la vita) che rompono la simmetria. Barrow, peraltro, riconduce questa bipartizione (leggi simmetriche-esiti asimmetrici) a due tradizioni opposte: quella platonica e quella aristotelica. Nell’alveo della prima tradizione si collocano i fisici teorici e i fisici delle particelle; in quello della seconda i fisici sperimentali, i biologi, la medicina tutta, l’economia, la meteorologia. Lo studio della complessità e del caos da parte dei fisici è però una conquista recente: la complessità è un nuovo paradigma che richiede un approccio interdisciplinare e l’uso del computer. 3) Lo studio dei sistemi caotici, in cui è escluso il determinismo (a causa dell’impossibilità di stabilire con certezza le condizioni iniziali), è comprensibile solo con la legge dei grandi numeri (nel senso che, alla lunga, essi obbediscono alla distribuzione gaussiana). Quest’assenza di determinismo, nonostante la presenza dei modelli matematici statistici e probabilistici, costituisce, a giudizio di Barrow, un antidoto contro i filosofi della scienza che danno risalto alla falsificazione e alla predizione (ancora Popper). Proprio lo studio del caos suggerisce però un ulteriore rilievo epistemologico. L’idea galileiana di un libro del mondo scritto con caratteri matematici non smette di trovare conferma: l’universo è matematico; pi greco sta scritto nel cielo. Per il fisico teorico, quindi, il mondo può essere ridotto ad uno schema (pattern) e la scienza può essere descritta come l’attività di ricerca di compressioni (abbreviazioni). A questo punto sorge però una domanda: esistono limiti concettuali in questa ricerca? La dimostrazione che Gregory Chaitin ha dato del teorema di incompletezza di Gödel può essere espressa come l’impossibilità che una comprensione sia quella definitiva: ve ne potrebbe essere una più semplice e profonda che aspetta di essere scoperta. Di fatto esistono sequenze casuali o incomprimibili a prima vista. 4) Simmetria come euristica. Se le simmetrie (che affermano che può accadere di tutto purché, qualunque cosa accada, non disturbi il mantenimento di una certa invarianza) stanno scritte nel cielo, sulla terra fungono da guida per la ricerca. I filosofi della scienza parlerebbero in questo caso di euristica. 5) “A priori” e principi antropici. Il principio antropico, la tesi secondo la quale l’universo è “fatto apposta” per un osservatore intelligente come l’uomo, costituisce, a conti fatti, una specie di “a priori”: garantisce della necessità di alcune proprietà fondamentali dell’universo per il semplice fatto, si fa per dire, che questi osservatori ci sono. Il fatto che vi siano osservatori è la “pietra di paragone”, la teoria che funge da pietra di paragone, per dirla con Lakatos, per tutti i modelli cosmologici.
Lorenzo Leone
www.appiasnero.itNote
[1] John D. Barrow, (Between Inner Space and Outer Space. Essays on Science, Art, And Philosophy) Dall’io al cosmo, Arte, scienza, filosofia, tr. it. Stefano Gattei, Raffaello Cortina editore, 2000, p. 448.
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