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All'inizio l'impatto non è stato facile. Di certo non come me l'aspettavo. Ma in fondo, devo ammetterlo, un po' è stata colpa mia perché me la sono voluta giocare difficile: posti sperduti, ombre cinesi, grigiori incombenti, sguardi timidi. Un principio di delusione stava andando a intaccare l'immagine di un paese che ancora prima di conoscere già mi apparteneva, che sentivo di voler comprendere. La guerra alle aspettative. Il dubbio di aver sbagliato approccio.
Passano i giorni. Attraverso strade di polvere e villaggi primitivi, salgo e scendo dai bus e dalle barche. Mi mischio ai locali. Comincio a osservarli, a comprendere i loro gesti, a non giudicarli. I gesti gentili arrivano radi, ma quando arrivano vanno dritti al cuore e si fanno sentire perché sono genuini.
Poi un giorno..
Me lo ricordo benissimo l'istante in cui ne ho preso coscienza: in viaggio, tanto per cambiare su un bus sgangherato, affollato di gente carica di sacchi, una mezza dozzina di polli caricata sul tetto, tra chi sputacchia come sempre dai finestrini, chi dormicchia e chi sbuccia un mandarino.
Mi accorgo che manca manca qualcosa.
A un certo punto finalmente compare (non so bene da dove) l'oggetto onnipresente su ogni bus pubblico in Laos: una cassa stereo. Mani si allungano a passare chiavette USB, scatta quasi una gara tra chi vuole proporre il proprio repertorio musicale.
Due regolazioni alla cassa, una sistematina e via, la musica parte - come sempre a volume alto - e pervade il bus, sobbalzante tra una buca e un'altra, mentre schiva polli e maiali.
Ho sentito un brivido: "Questo paese mi strugge" mi viene da pensare.
Se la musica laotiana - melodica e dolciastra, che a qualche occidentale può sembrare anche ridicola - è arrivata al punto di emozionarmi, significa che qualcosa dentro di me è scattato.
Finalmente me ne rendo conto! Sento che ormai è da tempo che mi sono legata al Laos e ai laotiani e in maniera del tutto subdola, senza che me accorgessi prima. Quello che sento è un sentimento struggente perché sa di malinconia e affezione, partecipazione e rispetto, vicinanza sincera, tristezza e bellezza allo stesso tempo.
Qualche settimana fa avevo raccontato quella che sembrava una iniziale delusione, appena arrivata in Laos, delusione che era rivolta anche ai suoi abitanti. Sapevo che comunque era solo un'impressione, non un giudizio, destinata a capovolgersi, e che avevo solo bisogno di tempo per capire, per apprezzare, per mettermi in sintonia. Sapevo che le aspettative mi avevano portata a creare un'immagine non necessariamente reale e dovevo riassestare i miei sensi.
La parvente delusione iniziale è finita per trasformarsi presto in crescente curiosità, in un crescendo di esperienze positive e incontri emozionanti, in un profondo attaccamento (e di questo ne ero sicura). La cosa curiosa è lo sviluppo che poi questo sentimento ha avuto: si è radicato in me, come un seme.
Passato un mese e conclusasi la prima parte del mio viaggio in Laos (ma la seconda parte di #ClamoreInLaos arriverà presto), parlo del Laos e dei laotiani con nostalgia. Sento che il Laos mi appartiene, anche ora, mentre me ne sto sdraiata a scrivere sul mio letto ad Hanoi.
Due giorni fa ho attraversato la frontiera di Na Meo con emozione pensando al mio imminente ingresso in Vietnam, ma anche con nostalgia per il Laos. Profonda nostalgia. Voltandomi indietro, a guardare per un'ultima volta il checkpoint laotiano, ho avuto per un attimo la mezza idea di fare una corsa e tornare indietro. Tornare a casa (anche perché in fondo dopo un mese di viaggio non si tratta più solo di viaggiare in un paese; diventa un vivere in quel paese).
I laotiani in certo qual modo sono timidi e rudi. Rudi come la loro terra, aspra e montagnosa, brulla e selvaggia, ma sinceri. Non dispensano sorrisi a vanvera al primo turista di turno. Sono schietti e distaccati e non sembrano comprendere esattamente cosa ci facciamo nel loro paese e cosa ci aspettiamo da loro. Che ci siamo venuti a fare? Cosa vogliamo? Da loro non dobbiamo pretendere nulla e nulla dobbiamo chiedere.
Basta concedere tempo. A loro e a se stessi. Senza fretta. E dopo qualche tempo si impara a riconoscere il significato dei gesti e si smette di farsi interrogativi o futili considerazioni. Si impara ad apprezzare e a capire: forse la cosa più bella del viaggiare.
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