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Considerazioni libere (352): a proposito di una pausa di quindici giorni...
Creato il 30 marzo 2013 da LucabilliGiovedì scorso Napolitano, continuando a interpretare in maniera quantomeno disinvolta il proprio ruolo istituzionale, ha detto di no - senza un valido motivo - alla legittima richiesta di Bersani di presentare in parlamento un programma e una squadra di governo. Probabilmente il tentativo di Bersani sarebbe stato fallimentare, ma avrebbe chiarito in maniera ancora più netta le responsabilità delle diverse forze politiche in questa nuova crisi. Napolitano ha sperato di riuscire nuovamente a ripetere il "miracolo" del novembre 2011, ma troppa acqua è passata sotto i ponti, troppe cose sono cambiate e soprattutto quel "miracolo" è stato pesantemente bocciato dagli elettori. Oggi, seppur con colpevole ritardo, Napolitano si è ritirato dall'agone politico, inventandosi il bizantinismo delle due commissioni di saggi. Teniamoci dunque Monti ancora per qualche settimana: non farà più danni di quelli che ha già fatto. E speriamo che questo parlamento riesca ad eleggere un Presidente della Repubblica che ci possa stupire. Bersani ha dimostrato di saperlo fare per l'elezione dei presidenti della Camera e del Senato: facciamolo lavorare, dunque, dal momento che - se una parte del Pd non si mette di traverso - ha i numeri per farlo, senza tener conto di quello che dicono B. e i suoi servi sciocchi. Poi, eletto il nuovo Presidente, si vedrà cosa fare: in casi come questi bisogna saper andare avanti alla giornata o alla mezza giornata. Se questi ulteriori quindici giorni e l'elezione di un "sorprendente" Presidente della Repubblica avranno fatto riflettere qualcuno che in questi giorni ha esercitato poco questa virtù, forse si potrebbe perfino far cominciare davvero questa anomala legislatura, altrimenti si potrà tornare serenamente a votare.
Questo è il punto su cui oggi vorrei soffermarmi. Sinceramente non capisco l'isterismo che coglie tutti i "benpensanti" - che sono in malafede - ma anche molti amici e compagni del centrosinistra - che invece sono certamente in buonafede - all'idea di nuove, immediate, elezioni politiche, anche nel mese di giugno. Anche sfruttando questa "paura" delle elezioni, Napolitano e i suoi sodali europei sono riusciti nel novembre del 2011 a imporci il governo Monti. Per inciso Draghi e le autorità finanziarie internazionali pare che abbiano un particolare timore di questo per loro inusuale strumento democratico, dal momento che nel giro di una notte costrinsero il premier greco Papandreu a dimettersi, soltanto perché aveva proposto di far votare ai greci un referendum sulle politiche europee "a favore" del loro paese. Giova ripetere a lorsignori e anche a tutti noi che le elezioni in un sistema democratico non sono un elemento patologico, ma un fatto normale, anzi ne costituiscono il momento essenziale, visto che sono il modo in cui i cittadini esprimono il proprio giudizio politico e le proprie idee.
I cittadini italiani, noi insomma, con le elezioni di fine di febbraio abbiamo detto la nostra e il risultato è stato molto chiaro: i due principali partiti che hanno caratterizzato il bipolarismo italiano hanno perso rispettivamente tre e sei milioni di voti, mentre un nuovo partito è nato - quintuplicando i propri voti - con un risultato sorprendente e inatteso per gli esponenti di quello stesso partito. E allo stesso tempo, non per caso è nato morto il partito del rigore europeo, sostenuto da Monti e da Napolitano. Quindi, al netto del quarto di italiani che ha deciso di non andare a votare, gli elettori si sono divisi in maniera piuttosto uniforme in tre schieramenti: centrosinistra, centrodestra e Movimento Cinque stelle. Secondo un mito diffuso la causa di questa frammentazione tripolare sarebbe la legge elettorale escogitata da quel fine costituzionalista di Calderoli. Naturalmente non è così. La legge elettorale non determina mai il quadro politico, ma lo fotografa, più o meno fedelmente. Di fronte a questa situazione politica, a questa divisione che c'è nel paese, non è detto che un sistema elettorale diverso, ad esempio il doppio turno di collegio - quello che personalmente preferisco - avrebbe disegnato un parlamento con una maggioranza certa; anzi ci sono alcuni studi che dicono che il parlamento sarebbe probabilmente frammentato allo stesso modo. Quindi la necessità di cambiare la legge elettorale - che pure andrà cambiata - adesso viene usata come un alibi per chi ha paura di tornare a votare e come scusa da chi non vorrebbe mai farci votare.
Gli isterici - sia quelli in malafede che quelli in buona fede - dicono che votare a giugno sarebbe inutile, perché non ci sarebbero sostanziali novità, e aggiungono che quindi non vale la pena di perdere altro tempo e altro denaro per organizzare nuove elezioni. Fatto salvo che la democrazia ha dei costi e che non possono essere considerati sprecati i soldi spesi per le elezioni, probabilmente hanno ragione loro e le elezioni di giugno ci consegnerebbero un parlamento altrettanto diviso di quello nato con le elezioni di febbraio, ma forse si potrebbe anche determinare una situazione diversa. Credo bisognerebbe avere più fiducia nell'intelligenza dei cittadini. In queste settimane qualcosa è successo e credo che le cose dette e fatte - e quelle non dette e non fatte - avrebbero un peso nelle prossime elezioni. Ad esempio io credo che una parte degli elettori del Movimento Cinque stelle siano rimasti delusi dal fatto che i loro rappresentanti quando ne hanno avuto la concreta possibilità abbiano rinunciato a far sentire il peso dei loro voti. Tra chi ha gioito per l'elezione di Boldrini e di Grasso, tra chi ha riconosciuto nei loro discorsi un'aria nuova, pulita, ci sono stati molti elettori del Movimento Cinque stelle; pensate cosa succederebbe se fosse candidato al Quirinale un nome di quel genere lì? Sto facendo un ragionamento astratto? Probabilmente sì, ma francamente mi sembra più astratto quello di chi dice che nulla cambierebbe. Guardate, dal mio punto di vista potrebbero perfino esserci dei rischi. L'inesorabile declino di Monti potrebbe favorire il centrodestra. Oppure nei prossimi giorni potrebbe implodere il Pd; ad esempio se, con un colpo di mano o con affrettate primarie, Renzi sostituisse Bersani a capo della coalizione di centrosinistra, io smetterei di votare Pd. Io sono uno e probabilmente il mio voto non sarà così decisivo per le sorti di questo paese, ma forse da questa parte dello schieramento qualcosa è destinato a cambiare. Comunque vada, è la democrazia, baby.
Lo dico ora per allora. Quando ci sarà un nuovo Presidente della Repubblica la possibilità di tornare immediatamente a votare non sarà un esito scontato. Tutt'altro: si scatenerà contro questa eventualità l'inferno; le agenzie di rating faranno scendere il giudizio sul debito a "triplaZ", Draghi farà volare lo spread, svendendo i nostri titoli di stato, i giornali dedicheranno ogni loro singolo editoriale a raccontare la crisi. Il Pd può e potrà legittimamente dire di avere già dimostrato senso di responsabilità, tentando tutte le strade possibili per la formazione di un nuovo governo. Tutte tranne una: la riedizione di quella che ci siamo abituati a chiamare "strana maggioraanza", travestita da grossekoalition politica o da governo tecnico. E non può ripetere questa esperienza per due solidissime ragioni: primo, il governo Monti è stato fallimentare e, secondo, è stato bocciato dagli elettori. A questo punto occorrerà chiedere ai cittadini di giudicare le scelte compiute e quelle da compiere. Bisognerà mettere sul piatto la parola d'ordine che Bersani ha ripetuto allo sfinimento in questi giorni, ossia che "responsabilità è cambiamento" e chiedere agli elettori del Movimento Cinque stelle cosa vogliono fare: se continuare a sostenere un movimento che rinuncia alle proprie responsabilità di governo o se immaginare che i loro voti possano essere determinanti per questo cambiamento. Ad ogni modo la soluzione vera per uscire da questa crisi politica è aumentare gli spazi della democrazia, non diminuirli.
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