Tu, giovane volenteroso lettore di provincia. Tu, finora solitario lettore che riempi la stanza di libri e che di sera frequenti pizzerie e bar con un senso di vuoto. Potresti organizzare un festival. Lanciare un appello alle associazioni culturali del tuo paese, convocarle tutte, spiegare l’idea, vedere occhi sgranati, sguardi scettici, occhiate di commiserazione, quindi riuscire a raccattare una manciata di consensi e vederli ridotti ulteriormente nei giorni successivi.
Così potrebbe mettersi in piedi la prima edizione, fra continui tampinamenti comunali, ritorni ossessivi a potenziali sponsor che ti hanno liquidato con un «forse» a cui leghi tutte le tue speranze di poter pagare un pernottamento in più, e nel frattempo far quadrare un programma coerente, e capire da dove la corrente elettrica dovrebbe passare, e pensare di chiedere in prestito le sedie alle scuole, e chiedere uno schermo per proiettare una presentazione powerpoint, e ottenerlo a patto di aggiustarne la cornice (punes e scotch). Oh, lo scotch! Diventerebbe un tuo accessorio fisso: il rotolo grande lo porteresti come bracciale, ora che le locandine sono pronte (grazie a un contributo della tipografia) e dovresti portarle in giro in tutto il circondario chiedendo il permesso di attaccarle (non ti interrogheresti sulla legalità dell’operazione, ma risolveresti con la tua coscienza individuando una linea di demarcazione fra spazio pubblico e privato), e centellineresti le brochure (ahimé, poche).
Ma alla fine la prima edizione andrebbe bene, il tuo paesino si affaccerebbe curioso e riempirebbe l’atrio comunale, non ci sarebbero cortocircuiti, il powerpoint si proietterebbe e non si registrerebbero defezioni dell’ultimo minuto.
Un anno dopo
Caro il mio giovane volenteroso lettore di provincia, sei alla seconda edizione. Hai capito che le collaborazioni sono importanti e dopo il primo, avventuroso, festival hai affinato la tecnica. I tuoi partner sono cambiati e con quelli rimasti ormai c’è più che simpatia, c’è la condivisione della follia e del masochismo (ci scherzate su). Hai trovato fondi, hai più contatti nel mondo editoriale (qualcuno ricorda il tuo nome, molti lo ricordano per rivendicare una partecipazione), sai che per il service vale il vecchio adagio «chi più spende meno spende»: non vorrai rischiare di non proiettare i filmati che arricchiscono questa nuova edizione? Hai chiesto al Comune di occuparsi delle sedie e dello schermo, hai un minimo di potere contrattuale, visto il successo dell’anno precedente. Hai raddoppiato gli appuntamenti, contattato molte più persone, prenotato più viaggi.
Ecco i miei consigli: vestiti comodo e preparati psicologicamente al lavoro duro, sia manuale che relazionale. Non credere che la direzione artistica ti conceda dei privilegi: trasporterai sedie e le sistemerai, andrai a comprare poltrone che solleverai tu. Ti occuperai di tutto, dalle farraginose pratiche Siae all’acquisto di bottigliette d’acqua per gli ospiti. Scoprirai che esiste l’Enpals per gli artisti. Stamperai i fogli con le indicazioni di allestimento. Oh, non ti aspettare che l’unica tv locale si degni di venire a filmare un pezzo qualsiasi dell’evento, né che ritenga opportuno informare la cittadinanza del tutto. Anche se vedi il giornalista passeggiare per tutto il pomeriggio non ti indignare. Avrai le tue soddisfazioni quando l’addetto al service si complimenterà per quanto impegno ci metti, quando vedrai i tuoi ospiti stringere amicizia e magari collaborazioni fra loro, quando gli assessori di altri comuni ti chiederanno di replicare l’evento da loro.
Non chiederti mai perché lo fai, o altrimenti sii consapevole della completa, meravigliosa gratuità del tuo impegno.
Sarai pieno di lividi, stanco e le tue occhiaie saranno profonde, ma sarai soddisfatto. Scegli tu.
[Dovresti trovare un omologo dei miei soci Maria Grazia Bonavoglia e Stefano Savella, questo è l’ultimo consiglio].
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