Un articolo apparso sul Corriere critica l’abitudine delle scuole di fissare le riunioni con i genitori alle diciassette, con conseguente latitanza dei genitori lavoratori (e non), e suggerisce una soluzione che sembra l’uovo di Colombo: spostare le riunioni alle venti.
Ho dei seri dubbi che la partecipazione, in questo caso, aumenterebbe di molto, ma, in fondo, basterebbe provare.
Lo scorso martedì, ad esempio, sono entrata a scuola alle 8, 00 per uscirne alle 13, 45, sono rientrata alle 14, 30 per la riunione dei coordinatori che si è protratta fino alle fatidiche 17 quando era indetta l’assemblea dei genitori (alla quale hanno partecipato cinque mamme volonterose) per l’elezione degli organi collegiali e me ne sono andata, definitivamente, alle 18, 30.
Comprendo che per i genitori, impegnati nel lavoro, nelle molteplici attività dei figli, nella cura della famiglia non sia facile presentarsi a scuola alle diciassette.
Forse anch’io avrei preferito che la riunione si svolgesse dopo cena, in fondo abito a cinquanta metri dalla scuola, ho una persona che si preoccupa di cucinare le cena per mio marito e di metterlo a letto e, alla sera, non ho altra occupazione se non correggere qualche compito, preparare le lezioni del giorno seguente, organizzare la giornata e, magari, rilassarmi un po’ sul divano con la televisione accesa che nessuno si impegna a guardare.
Mi chiedo, però, come se la potrebbero cavare quelle colleghe e quei colleghi che abitano lontano e hanno una famiglia (eh sì, anche loro) a cui badare, dei figli con cui trascorrere qualche ora, le faccende domestiche, la spesa e, alla fine, la necessità legittima di rilassarsi un po’